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Cronaca venerdì 07 marzo 2014 ore 16:44

Vivono di più ma stanno anche più male

Le donne viste dalla Medicina e le iniziative intraprese dalla Regione Toscana



FIRENZE — Le donne vivono più a lungo degli uomini. Ma non sempre in salute. Forse saranno quegli anni in più, ma le signore si ammalano di più e prendono più farmaci.
Più degli uomini sono affette da quasi tutte la patologie croniche, patologie osteoarticolari, malattie neurodegenerative, diabete, disturbi della funzione tiroidea, ipertensione arteriosa, vene varicose, osteoporosi, cefalea: donne e uomini hanno un differente rischio di contrarre molte malattie e anche una diversa risposta a molte terapie. Anche se finora le malattie, la loro prevenzione e terapia sono state studiate prevalentemente su casistiche maschili e i farmaci sono stati testati quasi esclusivamente sugli uomini, sottovalutando non solo le peculiarità biologico-ormonali e anatomiche, ma anche quelle socio-culturali proprie delle donne.

La Regione Toscana, prima e per ora unica, in Italia, ha istituito tre anni fa la Commissione permanente per le problematiche di genere, inserita nel Consiglio Sanitario Regionale, organo del governo clinico della Regione. Ha dedicato alla medicina di genere una delle 7 azioni prioritarie del nuovo Piano Sanitario e Sociale. E, con una delibera approvata di recente dalla giunta, ha istituito il Centro regionale di coordinamento della salute e medicina di genere.

Oggi l'assessore al Diritto alla salute Luigi Marroni ha illustrato tutte queste iniziative, assieme ad Anna Maria Celesti, presidente della Commissione permanente per le problematiche di genere e coordinatrice del Centro appena istituito, e ad Antonio Panti, vicepresidente del Consiglio Sanitario Regionale.

"La salute di genere è ormai un'esigenza del Servizio sanitario - ha detto l'assessore Marroni - La medicina di genere è una realtà da cui ormai non si può prescindere. Per questo è necessario promuovere e individuare all'interno delle strutture pubbliche percorsi che garantiscano la presa in carico della persona, tenendo conto della differenza di genere, per ottenere una sempre maggior appropriatezza e personalizzazione della terapia".

"La medicina di genere non deve essere una specialità a sé stante - precisa Anna Maria Celesti - ma, come confermano numerose evidenze internazionali, un'integrazione trasversale di specialità e competenze mediche, perché si formi una cultura e una presa in carico della persona che tenga presente la differenza di genere sotto i diversi aspetti".

"Finora la medicina - aggiunge Antonio Panti -, nonostante i grandiosi progressi, è rimasta una medicina di genere, ma solo di quello maschile. Poco spazio trova l'attenzione alle differenze di genere all'interno dello stesso quadro patologico, mentre la ricerca sul farmaco si svolge quasi del tutto su volontari di sesso maschile. Così si perdono le peculiarità biologiche femminili".


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