Hanno caschi gialli protettivi in testa e usano pala e piccone. Solo che questa volta non ci sono i minatori a protestare. O quegli operai senza volto né nome coperti di fango e polvere che chiedono diritti essenziali a un padrone tiranno.
Questa
volta, ora, in una coda che supera il chilometro previsto alla
vigilia della manifestazione partita dal settore Costruzioni della
Cna ma che si è allargata a tutta la piccola e media impresa di Pisa
e provincia (ma in corteo ci sono anche rappresentanze delle province vicine), a gridare, fischiare e chiedere di vedere riconosciuto
quel diritto al lavoro sancito dalla Costituzione sono “i padroni”,
quelli che meno di 5 anni fa stavano in ufficio a fare i conti.
Poi
la crisi li ha tirati giù in cantiere a sostituire gli operai che
sono stati costretti a licenziare e ora cercano di non chiudere
un'azienda che stanno guardando morire piano piano. Soffocata dalla
stretta al credito delle banche, da una burocrazia sempre più
macchinosa, da un costo del lavoro e della vita che sale mentre il
salario non cresce. Da un Privato che non investe e da un Pubblico troppo
concentrato sulla sussistenza.
“Anche
a Pisa sappiamo lavorare” ricordano, pensando alle ditte che
vincono gli appalti. “Lavorare così è un calvario”, pensando ai
prezzi al ribasso e ai lavori in perdita, pur di non perdere il
lavoro. “Imprenditori pisani in piazza per non morire” è
l'ultimo ed estremo grido di aiuto di un settore, quello artigiano,
abituato a fare e che si trova a chiedere perché non può fare
altro.
E come il canarino che faceva da sentinella, ricordano,
oggi, che se muoiono loro, per il Paese non c'è speranza.