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Minicervelli da cellule staminali, lo studio pisano

Una ricerca dell’Università di Pisa apre nuove strade alla comprensione delle malattie genetiche del nostro cervello

Il team di ricerca dell'università di Pisa

Minicervelli riprodotti nei laboratori dell’Università di Pisa grazie a cellule staminali riprogrammate aprono nuove strade per la comprensione delle malattie genetiche. 

Lo studio, condotto dal professor Marco Onorati e dalla dottoressa Claudia Dell’Amico del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa in collaborazione con la professoressa Angeliki Louvi della Yale School of Medicine, è stato oggetto di una recente pubblicazione su eLife.

Il set sperimentale del tutto innovativo, spiega una nota dell'università di Pisa, ha reso possibile lo studio di un particolare gene, Wdr62, le cui mutazioni rappresentano la seconda causa più comune della microcefalia, una grave patologia che emerge durante la vita prenatale e che comporta un mancato sviluppo del cervello umano. 

"La scoperta dei ricercatori - si legge nel comunicato dell'ateneo pisano- è che la mutazione del gene Wdr62 sarebbe responsabile del precoce differenziamento e della minore capacità delle cellule staminali di dividersi, spiegando il sintomo peculiare della microcefalia, ovvero il ridotto sviluppo del sistema nervoso".

“Abbiamo utilizzato un sistema innovativo di cellule staminali pluripotenti riprogrammate a partire dalle cellule della pelle - spiega il professore Marco Onorati, direttore del NeuroStemCell Lab dell’Ateneo pisano - Queste cellule riprogrammate possono essere differenziate verso tutti i tipi cellulari del nostro corpo, compresi i neuroni del nostro cervello e quindi essere usate per generare organoidi cerebrali umani. In questo modo, abbiamo realizzato un modello di studio che ci permette di ricapitolare in vitro eventi precoci dello sviluppo del nostro cervello, e delle sue disfunzioni, che altrimenti non sarebbero facilmente osservabili”.

“Mediante la tecnica Crispr/Cas9, che permette di riparare in modo preciso la sequenza di un gene, mediante ‘forbici molecolari’, abbiamo corretto la mutazione in vitro - aggiunge Claudia Dell’Amico, prima autrice dello studio - Questo ha permesso di applicare la terapia genica e “curare” gli organoidi aprendo la strada a sviluppi futuri della terapia genica”.

Allo studio hanno preso parte il gruppo di ricerca guidato dalla professoressa Elena Cattaneo dell’Università Statale di Milano, e la dottoressa Maria Teresa Dell’Anno della Fondazione Pisana per la Scienza.