Spettacoli

Ti ho sposato per allegria, ma c'è poco da ridere

Francini, Salce e Maccarinelli al Teatro Verdi e un matrimonio nel quale si specchia una società poco incline al cambiamento

Chi si aspetta di ridere è rimasto deluso. Perché Ti ho sposato per allegria, sabato e domenica scorsi al Teatro Verdi di Pisa, è una commedia, ma che a tratti piomba in una malinconia che fa riflettere.

Scritta da Natalia Ginzburg nel 1964, prima del divorzio e quando la famiglia era una cosa un po' diversa, riesce a non sapere di vecchio o di lontano, specie quando va in scena in un grande teatro sì, ma di una provincia italiana.
Il quasi monologo del primo atto è in parte alleggerito da una Chiara Francini frizzante e sempre in movimento, contrapposta al mondo pacato e sobrio che rappresenta il marito interpretato da Emanuele Salce.
Con loro sul palco ci sono Anita Bartolucci, Giulia Weber e Valentina Virando. Scene di Paola Comencini, costumi di Sandra Cardini, musiche di Antonio Di Pofi, regia di Piero Maccarinelli.
Tutto si apre un po' alla volta, come le lenzuola del letto dove lo spettacolo inizia e finisce. Ingombrante quasi quanto quella mamma che arriva in scena solo al secondo atto e come le altre mamme, quelle che segnano i figli e le loro vite e che, in scena, non ci arrivano proprio, ma è come se ci fossero.

Due vite diverse formano una coppia che sembra male assortita e che alla fine si scopre essere più uguale che diversa. Ma questo, all'inizio, quando si sposano dopo appena un mese dal primo incontro, loro non possono saperlo. Come non lo sa lo spettatore, che guarda l'unione con gli stessi occhi scettici della mamma-suocera.

Il pregiudizio è il vero protagonista di una scena che invita al cambiamento e che il cambiamento lo celebra. Ma solo finché resta sul palco e non scende nella vita.