Attualità

Un farmaco già noto funziona contro la retinite pigmentosa

Un gruppo di ricerca del Cnr di Pisa ha condotto uno studio sul desametasone per contenere l'infiammazione con risultati incoraggianti

Il Cnr di Pisa

Un passo in avanti per rallentare la degenerazione dei coni della retina e la perdita della vista indotte dalla retinite pigmentosa. A compierlo è stato l'Istituto di Neuroscienze del Cnr di Pisa, dov'è stato messo a punto un trattamento innovativo protagonista di uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Progress in Retinal and Eye Research.

La retinite pigmentosa è una rara malattia genetica che porta a una perdita progressiva della vista: colpisce inizialmente i bastoncelli, ovvero le cellule della retina che ci permettono di vedere al buio, e successivamente anche i coni, responsabili della visione diurna e dei dettagli. Quando i coni degenerano, la qualità della vita dei pazienti peggiora drasticamente, poiché la lettura, il riconoscimento dei volti e la percezione dei colori vengono meno.

Il gruppo di studiosi, coordinato dalla ricercatrice Enrica Strettoi, ha esplorato una strada semplice ma nuova: riutilizzare farmaci antinfiammatori già noti, come il desametasone, per contrastare i processi di infiammazione che si attivano nella retina danneggiata, contribuendo alla perdita dei fotorecettori. "Negli ultimi anni la ricerca ha fatto ampi progressi nella comprensione delle cause genetiche della malattia e nello sviluppo di terapie geniche - ha spiegato Strettoi - ma a oggi non esiste una cura valida per tutti i pazienti".

Somministrando il desametasone per via intraoculare in modelli preclinici di retinite pigmentosa, è stato osservato che le cellule visive e l’epitelio pigmentato, un tessuto fondamentale per il supporto della retina, si preservano dall’infiammazione. "I risultati positivi ottenuti suggeriscono che i farmaci già approvati e ampiamente utilizzati in oculistica, e di cui il desametasone fa parte, potrebbero rappresentare una nuova opportunità terapeutica indipendentemente dalla mutazione genetica che la causa - ha concluso - una prospettiva che apre la strada a trattamenti immediatamente trasferibili alla clinica, con l’obiettivo di rallentare la perdita visiva e migliorare la qualità di vita dei pazienti".