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Da New York e Assisi voci unite nella solidarietà

di - venerdì 23 settembre 2016 ore 07:55

Il caos del Medioriente, le catastrofi climatiche, fame e siccità, il terrorismo, i conflitti, una nuova guerra fredda, la proliferazione nucleare di nuove potenze invocano un cambiamento radicale d'indirizzo. New York e Assisi hanno ospitato due eventi concomitanti che hanno ruotato intorno ai veri problemi di questo secolo, migrazione e povertà: 800 milioni di persone vivono in condizione di estrema povertà e oltre 65 milioni sono attualmente in fuga. Nella Grande Mela, dopo gli attentati della scorsa settimana, un blindatissimo summit per l'annuale settimana di apertura dell'Assemblea generale dell'ONU. Al centro dei lavori i diritti violati per milioni di persone. 

Il divario tra i fondi disponibili e quanto servirebbe realmente in aiuti è abissale. Il primo passo dell'Assemblea è stata l'adozione, non vincolante, della Dichiarazione di New York. Il documento, seppur generico e particolarmente osteggiato da molti stati membri, contiene principi e impegni (economici e numerici) che determinano l'ossatura per impostare non subito ma nei prossimi mesi, forse anni, un piano che affronti concretamente gli effetti della crisi migratoria del pianeta. La prospettiva è giungere entro il 2018 ad un Global Compact. Assistiamo alla peggiore crisi umanitaria dalla Seconda guerra mondiale e la comunità internazionale è ottusamente inerme. A condizionare la conferenza di Bratislava prima e poi la maratona diplomatica di New York sono stati molteplici fattori: scadenze elettorali in successione, l'insorgere di demenziali populismi e le farraginose sfaccettature delle geopolitiche che governano i sistemi e le relazioni internazionali. 

A richiamare l'attenzione della platea dei potenti ci ha provato Barack Obama: «Dobbiamo correggere la globalizzazione, ma no ai nazionalismi e ai populismi. Un Paese circondato dai muri imprigionerebbe sè stesso. Dobbiamo sposare la tolleranza che risulta dal rispetto per tutti gli esseri umani». È un “testamento” politico l'ultimo discorso del presidente afroamericano sulle sfide della globalizzazione: «Bisogna lottare contro le disuguaglianze e colmare il divario tra i più agiati e i meno abbienti. Il mondo oggi si trova davanti a una scelta: o andare avanti o tornare indietro. E noi dobbiamo andare avanti», con urgenza. Mentre Obama rilanciava la sua dottrina il pontefice gli faceva eco partecipando alla chiusura della tradizionale Giornata Mondiale di Preghiera ad Assisi: «Se noi oggi chiudiamo l'orecchio al grido di questa gente che soffre sotto le bombe, che soffre lo sfruttamento dei trafficanti di armi, può darsi che quando toccherà a noi non otterremo risposte». Il tema del convegno interreligioso voluto nel 1986 da Giovanni Paolo II è stato la “Sete di pace”: «La sete, ancor più della fame, è il bisogno estremo dell’essere umano, ma ne rappresenta anche l’estrema miseria». 

Nella breve meditazione Papa Francesco ha poi aggiunto: «Implorano pace le vittime delle guerre, che inquinano i popoli di odio e la Terra di armi; implorano pace i nostri fratelli e sorelle che vivono sotto la minaccia dei bombardamenti o sono costretti a lasciare casa e a migrare verso l’ignoto, spogliati di ogni cosa». Le spiegazioni razziste verso chi è in fuga sono sbagliate e ingannevoli, allontano dal bene comune più prezioso, la solidarietà.


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