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Donald Trump,quarta via di un presidente americano

di - giovedì 02 febbraio 2017 ore 16:32

Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi per decenni il presidente USA ha rappresentato, per una parte del mondo, un punto di orientamento e un sicuro riferimento. Un potente alleato per molti governi del Vecchio Continente. L'era di isolazionismo annunciata da Trump parrebbe mettere fine a questo rapporto privilegiato. Nella visione trumpiana le distinzioni geopolitiche attuali sono assurde, scadute e non applicabili. Tutto da rifare, da ricostruire o distruggere: "America First". Trump propone un'America isolata di fronte alle barbarie, avvolta dalla paura di un ambiente ostile che vuole solo saccheggiare e che può essere salvata solo grazie alla retorica nazionalista e protezionista. Il populismo e l'imprevedibilità dell'eclettico magnate arrivato alla Casa Bianca piace a molti, non solo agli elettori bianchi americani. A Washington si annuncia “Prima l'America” e nel mondo esplode la trumpmania. 

A Gerusalemme esponenti del governo di Netanyahu ricopiano lo slogan e propongono “Gerusalemme Prima”, arrivando a parlare di estendere la sovranità israeliana nell'area periferica alla città Santa, quella dove sorgono i principali insediamenti: Beitar Illit a nord, Ma'ale Adumin a est e il blocco di Etzion a sud, territorio palestinese occupato per la Comunità Internazionale, materia di trattative diplomatiche dirette e non azioni unilaterali. Intanto anche ad Ankara membri dell'esecutivo seguono l'esempio trumpizzandosi: “Prima la Turchia”. Il parlamento approva il presidenzialismo di Erdogan, e indice un referendum popolare dall'esito quasi scontato. “Russia First” minacciava Putin molto prima che Londra decidesse di scegliere “Brexit”. Insomma la lista dei primi è lunga ed esaustiva, corre in parallelo, e a scapito, di quella dei secondi. Con Trump Gerusalemme si appresta a diventare de iure capitale dello stato di Israele, passano in secondo piano la pace, i diritti e la Palestina. Non siamo ancora all'annuncio ufficiale ma ormai dopo la telefonata nelle ultime ore con Netanyahu, il presidente USA ha avviato i "primi passi" del passaggio della sede dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, sancendo sicuramente una scelta che non ha precedenti.

Nella Turchia del sultano di Istanbul è in pericolo la democrazia, come del resto anche a Mosca. L'uscita del Regno Unito ha primeggiato sul sogno comune e l'Europa è oggi più fragile, debole. La cosa potrebbe non dispiacere al neo presidente statunitense nel momento in cui deciderà di disegnare un nuovo ordine mondiale, partendo dalla spinosa questione mediorientale. In quella regione dopo decenni di lenta erosione, l'invasione americana dell'Iraq, le rivolte della cosiddetta primavera araba, la crisi siriana, lo scontro tra sciiti e sunniti, il conflitto israelopalestinese, l'espandersi del terrorismo di matrice fondamentalista, il futuro scenario è un profondo abisso. Obama e l'Europa avevano, tra mille difficoltà, aperto ad una inclusione negli affari internazionali dell'Iran, ma Trump non pare della stessa idea, anzi è apertamente contrario ad un ruolo strategico di Teheran.

Ogni presidente americano ha avuto delle ideologie ad influenzarlo, delle coalizioni sociali ed economiche a sostenerlo. Fattori che a vario livello segnano poi il mandato dell'uomo più potente al mondo, scandali ed atteggiamenti discutibili a parte. Lo stato a stelle e strisce, nell'arco della sua storia contemporanea, a prescindere dall'appartenenza politica ha sostanzialmente avuto tre tipologie di “grandi” presidenti, tre scuole schematiche non partitiche ma strutturali: i presidenti fondatori di una nuova epoca, i gregari del sistema creato dai fondatori e gli alternativi che falliscono nel diventare fondatori. Ai primi si iscrivono Abraham Lincoln, Franklin D. Roosevelt e Ronald Reagan. Mentre gli incompiuti rottamatori più conosciuti sono Clinton e Obama. Tra i presidenti “ombra” che hanno articolato un approccio già definito dal predecessore possiamo annoverare la famiglia Bush. A questo punto quello che ci chiediamo è in quale delle tre tipologie iscrivere la personalità di Trump. O forse siamo veramente agli albori di una quarta via?

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