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Bye bye London

di - giovedì 21 dicembre 2017 ore 07:35

I leader dell'Ue all'unisono mettono in guardia Theresa May, ammonendo che la seconda fase dei colloqui sarà più difficile e "impegnativa" rispetto al primo tormentato e tumultuoso round. È l'ultimo test per Bruxelles. Quando si tornerà alle trattative sul tavolo i negoziatori dell'Unione lasceranno le indicazioni e i dettagli, non concordabili, della fase di transizione, prendere o lasciare. Richieste, almeno sulla carta, inaccettabili dal gruppo britannico della destra euroscettica. Che in queste ore ha dovuto subire l'umiliante provocazione del cancelliere dello scacchiere Philip Hammond. 

Figura di spicco tra i Tory moderati, segretario agli esteri nell'ultimo governo Cameron, Hammond ha affermato pubblicamente che il Regno Unito "tecnicamente" lascia, ma manterrà le stesse regole per il commercio e l'immigrazione anche dopo la separazione per un periodo di almeno due anni. È la sfida all'ala del collega di partito Boris Johnson. E la conferma che la May avrebbe finalmente, e definitivamente, abbracciato l'opzione di una Brexit soft. Disposta ad accettare le proposte di Bruxelles per il periodo di transizione, che comportano il mantenimento dello status quo: UK dentro al mercato unico e nell'unione doganale, contributi ai programmi di ricerca congiunti, attenersi alle regole europee per la politica agricola e per la pesca, rispettare i verdetti della Corte di Giustizia europea, nessun rappresentante al Parlamento europeo, nel Consiglio e nella Commissione.

Tuttavia la battaglia, prima che a Bruxelles, è in pieno svolgimento nelle aule di Westminster dove recentemente il governo è andato sotto, in un voto cruciale sulle trattative. Pochi giorni dopo la chiusura dell’accordo con Bruxelles sulla prima fase dei negoziati è arrivata la doccia fredda per la May. Un gruppo di ribelli ha guidato la rivolta, facendo approvare, per soli 4 voti di scarto, l'emendamento per cui i parlamentari ottengono un potere di veto sul divorzio dall'Ue. L'ennesimo duro colpo alla leader britannica. Al punto che c'è chi parla apertamente di sconfitta politica che mette fine al governo per aprire presto la strada alle elezioni.

Intanto nel dibattito torna a farsi sentire, dalle colonne del quotidiano the Guardian, la voce di Tony Blair. L'ex leader laburista, oggi impegnato in una campagna contro la Brexit, e intenzionato a riconquistare posizioni dentro ad un partito che l'ha relegato ai margini: “Capisco la posizione molto pragmatica assunta dal partito laburista, non disapprovo il pragmatismo in politica. Ma continuo a pensare che è la scelta sbagliata”. La critica è all’attuale guida del Labour Jeremy Corbyn, accusato di continuare a considerare la Brexit una questione secondaria dell'agenda: “Mi piacerebbe vedere quanto prima un governo laburista. Ma penso che l'assoluta priorità in questo momento sia arrestare la Brexit”. L'ex inquilino di Downing Street, seppure in patria la popolarità di un tempo è sbiadita, lancia messaggi di guerra sia al governo che alla dirigenza del suo partito, e c'è chi paventa che il “profeta” della terza via sarebbe prossimo, anche se manca la conferma, a dare vita ad una nuova forza politica centrista: “Siamo in un'epoca in cui la gente invoca il cambiamento. Esiste un elettorato che convintamente è disposto a votare per una visione del futuro, piuttosto che seguire il nazionalismo nostalgico della Brexit o le politiche di sinistra degli anni '60. È una larga fetta della società che è stanca di entrambi”.

Tra “vecchi” volti della politica che ritornano nell'arena e “vecchietti” che guidano la rinascita del partito, si consuma un possibile strappo nella sinistra britannica. Ma la May non si può avvantaggiare delle divisioni interne all'opposizione, le incognite che pesano sul futuro del Regno Unito riguardano anche la delicata questione della frontiera tra Irlanda del Nord e Irlanda. E l'eventualità di una Scozia chiamata ad un altro referendum per l’indipendenza, con un esito che oggi pare scontato: bye bye London.

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