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Cronaca martedì 18 marzo 2014 ore 13:00

"Gli 80 euro non fanno la differenza"

Pisani scettici sul provvedimento Renzi, al quale dettano un'agenda di priorità diversa: lavoro, costi della politica, rinnovabili



PISA — Ottanta euro in più non fanno la differenza. Almeno secondo i pisani intervistati all'indomani della promessa del fiorentino Matteo Renzi di dare un taglio all’Irpef sulle buste paga inferiori ai 1.500 euro mensili.

La città guarda con indifferenza l’ipotesi di varare tale provvedimento e punta il
dito contro la cattiva gestione della politica.
Certo, c’è chi spera che il premier mantenga la promessa, ma non nasconde il timore che a ciò possa conseguire un aumento di qualche altra tassa.
Come il consulente Nicola Tucci, che lo definisce "l’ennesimo specchietto per le allodole; il problema di oggi è che i politici guardano al mercato del lavoro in modo anacronistico: un provvedimento del genere sarebbe utile in una realtà fatta di contratti di lavoro tipici, com’era negli anni ’50, ma il mercato del lavoro oggi è ben
diverso. Si dovrebbe invece pensare a liberalizzare il mercato e a far sì che lo stato svolga una funzione di tutela nei confronti del cittadino nel momento del passaggio tra un contratto lavorativo e l’altro”.
Anche Salvatore Petese, controllore Ctt, è critico: “80 euro in più non sono niente rispetto all’aumento delle spese che abbiamo subito negli ultimi anni e al conseguente abbassamento del potere d’acquisto del cittadino medio. Oggi il problema maggiore del Paese è dato dall’alto tasso di disoccupazione: il Governo dovrebbe concentrare i suoi sforzi sulla creazione di nuovi posti di lavoro”.
Insomma, questi euro in più sulle buste paga non servirebbero, secondo i pisani, a risollevare la situazione economica dei cittadini e specialmente delle famiglie. Forse, dicono in molti, l’aumento di stipendio sarà di aiuto per il pagamento dell’affitto e delle utenze ma secondo Daisy Bernini, commerciante: "Sarebbe più
utile pensare di ampliare e incrementare la produttività del Paese per abbattere i costi e investire sulle fonti di energia rinnovabile”.
C’è poi chi, come Vincenzo, pensionato ed ex responsabile dell’ufficio di collocamento, pensa che “il principale problema italiano non sono gli stipendi, ma l’elevato costo della politica, che si risolverebbe con l’abolizione delle province e facendo dei comuni più piccoli un comune unico”.
Preoccupati anche gli studenti, i lavoratori di domani. Stefano Micheletta e Ilaria Vibbiani si chiedono: “Da dove verranno presi i soldi in più per le buste paga?” e riguardo ai provvedimenti urgenti che dovrebbero essere attuati mettono il prima linea “la risoluzione del problema della Terra dei fuochi, l’estirpamento della mafia e la diminuzione dello stipendio dei parlamentari”.


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