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Attualità sabato 24 aprile 2021 ore 08:30

Covid e morfina, viaggio in una terapia intensiva

MORFINA

Paolo Calcara ha voluto raccontare attraverso immagini ciò che accade ai malati di Covid in un reparto di terapia intensiva e lo ha documentato



CAMPO NELL'ELBA — "Morfina...Una parola che fa paura nell’immaginario comune, la tua più cara amica nel reparto Covid. Sì perché senza di lei ogni respiro sembra l’ultimo perché respirare fa male ed è faticoso da non capire come sia stato possibile farlo fino a quel momento senza neanche bisogno di pensarci". 

Si apre così la testimonianza di Paolo Calcara che, dopo essere stato ricoverato nel reparto Covid dell'ospedale Cisanello di Pisa ed esserne uscito, ha deciso che una volta guarito sarebbe rientrato per documentare attraverso i suoi scatti (vedi video in apertura di articolo) ciò che accade ai malati di Covid in un reparto di terapia intensiva, che è il suo modo per ringraziare chi lo ha salvato ma anche per dare testimonianza di quanto questo virus sia pericoloso.

"Senza di Lei non puoi dormire, - racconta Paolo - perché il casco dell’ossigeno sembra volerti strappare la testa dal resto del corpo e i numerosi “beep” delle macchine rendono il tempo uguale e infinito. In questo tunnel di paura e dolore però ci sono tanti “omini” bianchi, come quelli che ritagliavamo nella carta da piccoli, e loro diventano Tutto per chi si trova nel reparto Covid. Sotto una coltre di protezioni, con tre paia di guanti, mascherina, visiera, calzari e tuta, si nascondono esseri un po’ più umani di altri perché per ore e ore si dimenticano di esistere: hanno le nostre vite in mano! Non esistono pause, neanche per andare in bagno, perché proteggerci significa restare dentro quello strano involucro bianco".

"Qui - prosegue Paolo - il telefono diventa l'unico contatto con il mondo esterno, sentirlo squillare rappresenta la carezza della famiglia che è disperatamente lontana, ogni messaggio è come una bottiglia fluttuante arrivata dal mare, a significare che esiste qualcosa fuori da quel reparto a cui potremmo tornare dopo questa lotta estenuante".

"Viviamo da un anno il fastidio della mascherina che prude, dà noia alle orecchie, ci spettina e fa appannare gli occhiali, ma è niente a confronto di un casco per la respirazione. - aggiunge Paolo - Stiamo mantenendo le distanze sociali e questo è triste perché ci sentiamo alienati ma è comunque vita, è comunque libertà". 

"Continuiamo a seguire le regole, a proteggerci per noi e per gli altri. Se ognuno fa il proprio dovere, nel suo piccolo può salvare una vita. La mia è stata salvata e non posso che renderla un monito affinché ognuno faccia la sua parte!", conclude Paolo.


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