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Cronaca venerdì 30 maggio 2014 ore 18:45

Il racconto di chi è sopravvissuto a Capaci. Corbo parla ai bambini di Cascina

L'ispettore di polizia Angelo Corbo racconta cosa accadde la mattina del 23 maggio 1992 durante l'attentato a Giovanni Falcone



CASCINA — Sopravvivere alla strage di Capaci e raccontarlo a chi in quel lontano 23 maggio del 1992, non era ancora nato. Aver sentito esplodere sotto i propri piedi 500 chili di tritolo e portarsi dentro il rumore di quell'immenso boato. Essere uscito dall'auto blindata, in mezzo al fumo e alle macerie, con la mitraglietta d'ordinanza, nell'ultimo disperato tentativo di difendere Giovanni Falcone, il giudice antimafia che quel giorno morì sull'autostrada Trapani-Palermo, in un agguato terroristico-mafioso che sconvolse l'Italia e il mondo.

Questa è la testimonianza di Angelo Corbo, agente della Polizia di Stato della scorta di Falcone che si è salvato dalla strage di Capaci, e che ha incontrato gli studenti delle scuole di Cascina alla biblioteca comunale Peppino Impastato. Presenti all'incontro anche Alessio Antonelli, sindaco di Cascina, Fernando Mellea, assessore alla legalità di Cascina, Domenico Bilotta, responsabile scuola

Fondazione Caponnetto, ed Elisabetta Baldi Caponnetto, moglie di Antonino Caponnetto, il giudice che coordinava il pool antimafia di Palermo.

“Sono entrato a far parte della scorta di Giovanni Falcone nel 1990, a 24 anni – ha detto Corbo, siciliano e oggi ispettore di polizia- e il giorno della strage non avevo ancora compiuto 27 anni. Quel giorno era per noi un giorno come tutti gli altri. Non avevamo alcun sentore di ciò che sarebbe

successo. Nel momento dell'esplosione l'autostrada si è letteralmente sollevata. Il rumore è stato tremendo e dentro l'abitacolo dell'auto sulla quale viaggiavo abbiamo avuto come una sensazione di vuoto, di volo, probabilmente dovuta allo spostamento d'aria. Feriti, storditi, abbiamo imbracciato le nostre mitragliette M12 e siamo usciti dall'auto. Il mezzo al fumo e alle macerie ci siamo disposti a stella attorno all'auto di Falcone. Perchè ci aspettavamo che qualcuno arrivasse per finire il

lavoro, per accertarsi che il giudice fosse morto. Falcone non era ancora morto. Morì più tardi, all'ospedale, per le emorragie interne che riportò dopo aver sbattuto con violenza contro il volante della sua auto. Se quell'auto avesse avuto gli airbag e ci fosse stato l'obbligo di indossare la cintura di sicurezza, l'attentato sarebbe fallito e oggi Falcone sarebbe ancora vivo”.

“Mi avevano addestrato per sapere cosa fare in caso di conflitto a fuoco -ha spiegato Corbo- a mantenere il sangue freddo in ogni evenienza, ma non c'è niente che può prepararti a sostenere un attentato di quella violenza. Ho avuto bisogno di aiuto per superare quello che ho vissuto e solo da

poco ho deciso di andare nelle scuole a raccontare quello che ho visto e sentito. Perché occorre continuare a lottare, continuare a dare una speranza, continuare a ricordare chi è morto per lo Stato”. 


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