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Attualità giovedì 16 gennaio 2025 ore 14:55
Epatite, uno studio monitora la salute degli 'invisibili'

Attraverso screening pluriennali uno studio delle università di Pisa e Firenze monitora l’incidenza dell'epatite B e C tra i cittadini più fragili
PISA — Sono più numerosi e più giovani che nel resto d'Italia le persone fragili in Toscana che si ammalano di epatite B e C. E' quanto emerge da uno studio condotto da un team di ricercatori delle università di Pisa e Firenze che, con l'obiettivo di monitorare l’incidenza delle infezioni da epatite B (Hbv) e C (Hcv) tra le comunità definite "più emarginate".
Lo hanno fatto attraverso campagne di screening pluriennali, riscontrando prevalenze molto più alte della media nazionale e in soggetti di età molto giovane. Grazie alla collaborazione e al filo diretto con unità assistenziali di Firenze, Empoli, Prato e Pistoia, i soggetti positivi hanno avuto accesso all’assistenza clinica e, se necessario, alla terapia.
Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista “The Lancet Regional Health - Europe”, con corresponding author Laura Gragnani, ricercatrice del dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa, e prima autrice Monica Monti del Centro MaSVE dell’Università degli Studi di Firenze. Lo studio è stato finanziato da Gilead Science, Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia e dalla Regione Toscana.
Il monitoraggio
Tra il 2019 e il 2024, con una sospensione dovuta alla pandemia di Covid-19, il gruppo di ricerca ha testato marcatori per le infezioni da HBV (antigene di superficie dell’Hbv – HbsAg) e da Hcv (anticorpi anti-Hcv) in 1.812 soggetti che frequentano mense popolari, centri di accoglienza, scuole di italiano per stranieri nelle aree metropolitane di Firenze, Prato e Pistoia.
Lo studio ha rilevato che il 4,4% dei partecipanti era positivo all’HBsAg, segno di infezione attiva, mentre il 2,9% presentava anti-HCV, indicativi di un'esposizione al virus. La positività a HBV era più frequente tra gli uomini (91%) e individui di origine non italiana, provenienti soprattutto da aree con basse coperture vaccinali.
I partecipanti positivi a Hcv includevano una maggiore proporzione di cittadini italiani (51,9%) con storie di marginalità estrema spesso legate ad un pregresso consumo di droghe per via endovenosa.
Lo screening è stato effettuato direttamente presso le strutture di accoglienza, con test rapidi su sangue capillare e risultati disponibili in pochi minuti. Questa strategia ha garantito un’alta adesione, pari all’82%. Inoltre, la presenza di mediatori culturali e la collaborazione con gli operatori delle associazioni ha facilitato il collegamento dei pazienti positivi ai centri clinici locali. Il 66,3% dei positivi a Hbv e il 37,8% di quelli a Hcv hanno intrapreso un percorso di monitoraggio o cura, in base alle valutazione clinica. Tra i pazienti con infezione Hcv attiva, tutti quelli trattati con farmaci antivirali hanno ottenuto la guarigione.
“Le infezioni da Hbv e Hcv possono evolvere in gravi patologie come la cirrosi e il tumore al fegato e molti dei soggetti colpiti non sono consapevoli della loro condizione fino alle fasi avanzate della malattia – spiega la dott.ssa Laura Gragnani – Questo ritardo diagnostico è evidente nelle comunità marginali, che non sono raggiunte dai programmi di prevenzione e screening nazionali e regionali e che spesso incontrano barriere nell’accesso ai servizi sanitari, come la mancanza di informazioni, fiducia o risorse economiche. I risultati raggiunti col nostro studio dimostrano l'importanza di strategie di screening mirate per ridurre le disuguaglianze sanitarie, ridurre la circolazione di questi virus nell’intera comunità e raggiungere l’obiettivo dell'OMS di eliminare le epatiti virali come minaccia infettiva entro il 2030”. “Questa ricerca – aggiunge Monica Monti – ha inoltre evidenziato l'importanza di 'agganciare' e curare i soggetti marginali che spesso non accedono ai canali ufficiali di assistenza sanitaria”.
Allo studio hanno partecipato anche la professoressa Gabriella Cavallini e la dottoressa Maria Laura Manca dell’Ateneo pisano e la professoressa Anna Linda Zignego, docente in pensione dell’Università degli Studi di Firenze, direttrice del Centro MaSVE fino all’ottobre 2023.
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