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Attualità mercoledì 13 luglio 2016 ore 13:27

Un bboy che vuol far ridere la gente

Mirko Pastore (foto da Facebook)

Mirko Pastore balla breakdance dal 2004, una danza americana nata nel Bronx degli anni '70. Nei suoi spettacoli cerca di unire acrobazie e humor



COLLESALVETTI — Una forte carica di autostima, una creatività dirompente e un profondo senso di identità. La storia di Mirko Pastore e del suo rapporto con il ballo sembra parlare di questo. Una danza sfrenata, quella del giovane di Collesalvetti. In gergo la chiamano breaking o bboying. Ma il grande pubblico la conosce soprattutto come breakdance.

Girare sulla testa o sulla schiena. Bloccarsi in verticale su una mano. Abbattere la legge di gravità, costruire nuovi equilibri in posizioni improbabili. Questo è il breaking. Mirko Pastore, classe 1988, l'ha conosciuto molti anni fa. Era il 2004.  Alcuni ballerini passarono sul piccolo schermo e per lui scattò la “vocazione”.

Oggi Mirko fa parte di una squadra (gli americani dicono crew) che è possibile vedere in azione in diverse zone del livornese e del pisano: la Million Dollar Breakers, un gruppo di bboys (ballerini di breakdance) da tempo sperimenta un'inconsueta contaminazione fra teatro e danza nella creazione di spettacoli comici ballati.

"Io e il mio gruppo cerchiamo di mettere in scena la logica del clown di talento – spiega Mirko – unire una sana dose di autoironia alle nostre acrobazie, sperando di stupire, ma anche di rallegrare il pubblico". Prima dei teatri, prima delle piazze e degli applausi, però, c'è stato un lungo apprendistato.

“Dopo aver visto in Tv alcuni ballerini ho assistito a un'altra esibizione e ho intuito il potere che sprigionava questa disciplina. Per anni la cosa è rimasta nel cassetto perché vivendo in un piccolo paese non sapevo a chi rivolgermi”.

Un giorno arriva l'occasione attesa: un corso di breaking a Collesalvetti. “Il mio primo maestro fu bboy Dynamic di Livorno. Da lì mi sono affacciato alla strada, conoscendo altre persone. Sono andato alla Media World di Pisa, da molti anni un luogo di ritrovo per molti bboys della provincia”.

A quel punto Mirko comincia a capire cosa sta facendo: “Mi sentivo speciale. Non avevo più bisogno apparire, perché semplicemente ero. Non per gli altri, ma solo per me: riuscivo a condurre il mio corpo in sintonia con un altro elemento, la musica. Non sei tu che decidi come muoverti, ma è lei che guida. Si tratta di ascoltarla e di capirla”.

Per Mirko ballare significa prima di tutto essere un bboy, là dove arte e identità sono una cosa sola. E il fatto che questa disciplina arrivi dagli Usa non complica le cose: “Per chi lo vede da fuori il breaking è solo uno sport, a causa dei mass media e ormai anche di molti insegnanti. Ma dietro c'è una cultura. È americana, ma noi siamo cittadini del mondo e le idee sono di tutti”.

Una cultura oggi planetaria, che si è tuttavia diffusa nel mondo proprio grazie ai media: “All'inizio hanno veicolato il messaggio originale semplicemente raccontandola – dichiara Mirko – ma poi hanno cominciato interpretarla, ed ecco fiorire i talent show, storie non autentiche che ne hanno alterato l'essenza. Per capirla va vissuta: andate alle jam (feste organizzate dai ballerini ndr) state in mezzo a chi la pratica”.

Quando Mirko ha iniziato non c'erano molti bboys in giro: “Ho cominciato confrontandomi con persone del mio livello e ho sperimentato subito una forte iniezione di fiducia. Dopo due o tre anni abbiamo iniziato a partecipare a gare. Mi piaceva mettermi alla prova. Rispetto agli sport convenzionali la competizione del breaking, pur essendo feroce (l'obbiettivo è sopraffare l'avversario) finisce quasi sempre con un abbraccio”.

Come nella boxe? “Qualcosa di simile. Si deve capire la forza fisica e mentale del rivale e questo favorisce il rispetto”. Oltre alla competizione e alle esibizioni, Mirko lavora assiduamente come maestro: “Ho cominciato a insegnare dopo due anni, sentivo la necessità di trasmettere questo potere. Non esiste più timidezza, quando diventi un bboy trovi la tua essenza”.

Il breaking permette a chiunque di diventare speciale – prosegue il ballerino – o addirittura un eroe, come nel caso di invalidi: ci sono persone con menomazioni fisiche in grado di ballare. Ma non c'entra la commiserazione, bensì la sincera ammirazione”.

E il ballo come lavoro? “E' molto difficile guadagnarsi da vivere solo come bboy – conclude Mirko – per me è un secondo lavoro ma mi impegno sempre al massimo. I soldi devono essere una conseguenza della tua attitudine, non il primo obbiettivo”.


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