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Attualità lunedì 14 novembre 2016 ore 14:50

"Al Don Bosco ci sono i bagni a vista"

Alessandra Nardini, Raffaele Marras ed Enzo Brogi

"Violano privacy e dignità", denunciano Nardini, Brogi e Marras, "Facciamo mettere le porte ai detenuti, diamo loro la possibilità di lavorare”



PISA — Alessandra Nardini, consigliera regionale pisana del Partito Democratico, Enzo Brogi, consigliere per i diritti della Regione Toscana e Raffaele Marras, segretario regionale dei Giovani Democratici, hanno fatto visita al penitenziario Don Bosco, Pisa.

“Dopo essere già stata nei mesi scorsi, con altre colleghe del gruppo Pd, in visita al reparto femminile di Sollicciano,a Firenze, mi è sembrato urgente vedere anche le condizioni del carcere pisano, in questi giorni al centro dell’attenzione per lo sciopero della fame dei detenuti e per le successive denunce fatte dal garante dei detenuti della città, Alberto Di Martino – spiega Alessandra Nardini, consigliera regionale Pd – È doveroso mantenere solido un contatto tra quello che avviene dentro le carceri e l’esterno; queste due prime tappe sono l’inizio di un impegno civile e politico che voglio portare avanti”.

“Se non fosse per qualche segnale di modernità, come tv e qualche apparecchio elettronico si potrebbe quasi dire che il tempo al Don Bosco si è fermato più o meno agli anni ’30, quando il carcere è stato costruito – commentano Nardini, Brogi e Marras - Qui vivono 277 detenuti rispetto ai 226 per cui è stato realizzato. Il penitenziario pisano è un posto fatiscente, con evidenti problemi igienico sanitari, non stupisce lo sciopero della fame dei detenuti e le denunce sulle sue condizioni fatte pochi giorni fa dal garante dei detenuti, Alberto Di Martino. 

Urgentissimo il problema dei bagni, innanzitutto perché privi di porta, con dei muriccioli che non garantiscono rispetto della dignità della persona. Pensate a cosa significa tutto questo soprattutto per quel gruppo di circa venti donne che vive qui.

Ci chiediamo quanto possa costare finanziare delle porte, ci chiediamo perché si debba vivere in certe condizioni. Lanciamo una proposta: perché non potrebbero essere proprio i detenuti ad operare nella struttura, manutenendola, magari coadiuvando esperti che insegnano loro il mestiere? Proprio i detenuti hanno già dimostrato come riuscire a rendere più umano l'ambiente con dipinti bellissimi. Sabato, quando siamo stati lì non c’era né riscaldamento, né acqua calda, ci hanno parlato di un malfunzionamento temporaneo, che in parte già si stava risolvendo. 

Come si era verificato un guasto alle linee telefoniche. Speriamo sia così e che ci si adoperi affinché sia totalmente risolto e non ciò non si ripeta. Oltre alle necessità igieniche ci sono poi quelle legate al reinserimento lavorativo e sociale. Dentro le mura del penitenziario vi sono varie aule per attività, una ad esempio dedicata alla falegnameria che potrebbe consentire ai detenuti di imparare un mestiere, di avere una carta da giocare una volta finita di scontare la pena. Ci hanno detto che questo corso adesso è autogestito dai detenuti, ad insegnare non va più nessuno.

I fondi per le attività di questo tipo sono stati in buona parte sospesi, e questo ci pare controproducente: la pena deve essere rieducativa, recita la nostra Costituzione. Il campino in cui oltre a giocare i detenuti venivano organizzati tornei con squadre esterne, adesso è in disuso e chiediamo che sia ripristinato e rimesso in funzione. 

Pensiamo all’importanza di questo luogo per la convivenza e l’integrazione tra le tante e diversissime comunità che popolano il penitenziario: dei 277 detenuti, 164 sono stranieri, tunisini, marocchini, albanesi, rumeni, 113 italiani. Ci sono alcuni spazi del carcere che ancora oggi danno buon esempio: il progetto Prometeo, che punta alla convivenza tra sieropositivi e non, e la sezione universitaria - concludono Nardini, Brogi e Marras - Ricordiamo l’importantissimo contributo della Scuola di Teatro, progetto recentemente rifinanziato dalla Regione Toscana, portato avanti dalla compagnia "I Sacchi di Sabbia”, che registra una ventina di partecipanti.

Il carcere se continua a rimanere luogo lontano, nascosto ed isolato dalla società non potrà mai adempiere alla funzione di rieducazione, ma rischia di restare luogo di sofferenza e reclusione. Nella realtà pisana, come in tante altre della nostra regione, abbiamo visto che se si accende il motore dell’operosità i risultati arrivano”. 


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