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Attualità lunedì 08 marzo 2021 ore 19:51

Direttore o Direttrice? La grammatica non è un’opinione

Il dubbio nasce da Beatrice Venezi che a Sanremo ha chiesto di essere presentata come ‘direttore d'orchestra’. Le opinioni della Nardini e della Brogi



PISA — La questione del genere nei nomi di professione ha solleticato il dibattito degli ultimi giorni. Ad incendiare la miccia, la richiesta di Beatrice Venezi al Festival di Sanremo, di essere appellata ‘Direttore d’orchestra’ da Amadeus per la sua presentazione.

Da lì un putiferio di desinenze in cui sono andate a confondersi regole grammaticali e desideri personali di epiteti e tante opinioni in merito che noi abbiamo chiesto a due donne che ricoprono un ruolo comunemente declinato al maschile. L'assessore/a della Regione Toscana Alessandra Nardini e il sindaco, o la sindaca, di Ponsacco Francesca Brogi.

L’assessora della giunta regionale Alessandra Nardini, si trova a suo agio nella declinazione al femminile del ruolo che riveste: ”L’italiano ha due generi, il maschile e il femminile e le professioni si declinano secondo desinenza e genere. Chiamare ‘infermiere’ una donna suonerebbe quantomeno strano. Legare poi l’autorevolezza della professione che si svolge, all’uso maschile del nome che la definisce è un errore, visto che l’autorevolezza, come le competenze sono da attribuirsi al ruolo stesso e alla persona indipendentemente dal genere di appartenenza. Alla base c’è un problema culturale” evidenzia Nardini “di una società che ha visto le donne a lungo escluse da molte professioni tanto da rendere di difficile assimilazione la loro versione femminile ma personalmente non ho problemi a farmi chiamare ‘assessora’. Questo certamente non esclude il forte impegno sul fronte delle tante battaglie volte all’azzeramento del gender gap.”

Per contro la ex sindaca di Cascina Susanna Ceccardi ha dichiarato sul Tirreno di oggi, di aver vissuto come denigratorio l’appellativo ‘sindaca’ e che “la crociata contro la lingua italiana è solo una battaglia ideologica che non serve davvero a niente se non a creare questi dibattiti surreali”, senza considerare che questa non è una battaglia contro la lingua italiana ma mera applicazione delle sue regole grammaticali come considera anche la sindaca Francesca Brogi: “La lingua italiana è viva, si evolve e si arricchisce di neologismi continuamente. Personalmente trovo sia giusto cominciare a declinare certe professioni al femminile, laddove il ruolo sia in effetti ricoperto da una donna. Sta nell’evoluzione di una società in cui sempre più donne trovano la loro affermazione grazie al merito, anche se la battaglia per i diritti non si ferma al linguaggio ma si porta avanti con le politiche da attuare” e conclude scherzando: “Detto questo non sono rigida e se qualcuno mi chiama sindaco rispondo comunque”.

Ma facciamo un po' di ordine grammaticale.

Per essere corretti infatti bisogna dire che in lingua italiana il sostantivo ‘direttore’ si coniuga al femminile come gran parte dei nomi in -tore, quindi ‘direttrice’ come descritto in ogni grammatica italiana:

“I nomi maschili uscenti in -tore, anche detti nomi d'agente in quanto designano "chi compie un'azione", formano nella maggior parte dei casi il femminile in -trice (quindi, ad esempio, attore/attrice, lettore/lettrice, pittore/pittrice, scrittore/scrittrice). Alcuni problemi nel passaggio alla forma femminile si hanno quando il suffisso -tore sia preceduto da una consonante diversa da t (esempio impostore, gestore, pastore, tintore): in questi casi infatti le sequenze -strice e -ntrice, che ne derivano, risultano abbastanza difficili e forme del tipo pastrice, tintrice, impostrice non sono ammesse, mentre è attestata (cfr. Dizionario Italiano Sabatini Coletti) la forma gestrice anche se segnalata come non comune. In questi casi meno lineari sono possibili, anche se non frequentissimi, i femminili in -tora (quindi pastora, tintora, impostora, ecc.).” [Accademia della Crusca]

Beatrice Venezi ha addotto alla sua richiesta una motivazione: “la professione ha un nome preciso” che sarebbe quello declinato al maschile ma questo non corrisponde alla realtà. Il motivo per cui spesso si parla di ‘direttore d’orchestra’ è perché storicamente questo ruolo è stato ricoperto da uomini MA visto che i tempi sono cambiati e sono molte ormai le donne ad aver conquistato questo ruolo, non vediamo il punto per ostinarsi nell’uso del sostantivo declinato al maschile. O dovremmo forse continuare a dire ‘dottore’ per ‘dottoressa’ o ‘pittore’ per ‘pittrice’? Ne intuiamo le buone intenzioni, di cui peraltro pare, sia infatti lastricata la via dell’inferno, ma non ne condividiamo le ragioni, da ratio, perché non è da qui che passa la parità di genere, anzi, non avvistiamo nessuno sminuimento sessista nell’uso corretto di un sostantivo.

E’ nel radar dell’orecchio comune che i sostantivi per mestieri e professioni tradizionalmente riservati agli uomini stiano subendo un riassestamento dovuto alla sempre maggiore presenza di donne nell’espletamento di quelle funzioni. Termini come la chirurga e l’avvocata, la sindaca e la ministra, la giudice e la presidente sono femminili perfettamente regolari, ma ancora non si sono completamente affermati. Come ampiamente argomentato già nel 1987 nel pionieristico lavoro di Alma Sabatini Il sessismo nella lingua italiana, patrocinato dall’allora Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, sono infatti da caldeggiare le forme femminili dei sostantivi che al maschile escono in -o e al femminile attraggono per vocazione grammaticale la -a tipo ‘ministra’ o ‘sindaca’. Per i nomi in -e come sempre è l’articolo ad aiutare il discernimento di genere: ‘il/la preside’’, il/la parlamentare’, ammenoché non inizi per vocale e quindi, diventando impossibile indicare il femminile attraverso la scelta dell'articolo, si debba procedere a un cambio di desinenza: ‘assessora’. E qui la resistenza al loro utilizzo diventa particolarmente consistente e ci vorrà del tempo soprattutto ahimè proprio alle donne, prima che accettino di non essere un’eccezione alla regola maschile ma semplicemente un altro genere che la lingua ha il compito di descrivere in quanto esistente.

Il punto è che la lingua non è un mostro sacro intoccabile ma è un organismo vivo che cresce con chi a quella lingua dà corpo ogni giorno, secolo dopo secolo, subendo tutte le necessarie riclassificazioni atte a renderla specchio della realtà che la esprime. A dimostrarlo tra miriadi di esempi, gli stravolgimenti richiesti dall’inglobamento sempre più consistente e goffo di termini inglesi italianizzati come ‘googlare’ o ‘linkare’. Non c’è da preoccuparsi ma c’è da vigilare l’andamento della curva, in quanto descrittiva della direzione in cui quel corpo parlante si sta muovendo. Se è vero infatti che la società parla una lingua come sua espressione, è vero anche il contrario ossia che la lingua diventa creatrice della società a cui dà voce. 

La parola crea, è azione quanto i gesti che compiamo e non è cosa da poco. Superare gli stereotipi che la nostra lingua suo malgrado, descrive è compito di tutti e soprattutto di chi scrive o ha un ruolo politico per professione. La presa di responsabilità di scelta del linguaggio da usare deve essere proporzionata all’urgenza in cui versa la condizione del femminile ancora oggi. E se oggi è una donna a dirigere un’orchestra, sarà semplice rilevazione dei fatti, appellarla ‘direttrice’ senza eccezioni se non quella per assolvere una preghiera che assimiliamo a una qualunque altra legittima richiesta di epiteto, dal titolo, al soprannome, al nickname.

Auspicando che non faccia scuola perché diventerebbe evidentemente squola.

Elisa Cosci
© Riproduzione riservata


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