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Cronaca mercoledì 30 maggio 2018 ore 11:54

La chirurgia epatica scrive un'altra pagina

Pisa centro di riferimento per la chirurgia epatica del risparmio d'organo. Evitati con successo due autotrapianti nella stessa paziente



PISA — Per casi chirurgici come questo, ossia di una paziente operata con successo a Pisa, spesso viene espresso giudizio di “inoperabilità” con la chirurgia epatica tradizionale, per la complessità tecnica e per le grandi quantità di fegato che devono essere asportate.

Invece, per due volte in sei anni, le è stato “risparmiato” il fegato nonostante, per casi analoghi, in altri centri sia stato eseguito addirittura l’autotrapianto dell’organo.

Un successo che anni fa sarebbe stato impensabile, bollato come pura fantascienza. A Pisa invece oggi è realtà concreta e questa procedura è stata strutturata in Aoup in un vero e proprio percorso assistenziale integrato, di cui è responsabile il dottor Lucio Urbani, chirurgo generale in forza nell’Unità operativa di Chirurgia generale diretta dal dottor Piero Buccianti e che ha intrapreso questa tecnica innovativa 8 anni fa, appresa dal professor Guido Torzilli, il maggior esponente al mondo della chirurgia “parenchyma sparing”.

Parliamo delle metastasi epatiche localizzate alla confluenza epato-cavale, originate da tumori primitivi del colon-retto e di difficile operabilità proprio per il coinvolgimento delle strutture vitali del fegato (arterie, vene e vie biliari). Sono casi chirurgici che, in gergo, vengono definiti di “epatectomia minore-ma-complessa” proprio per sottolineare la differenza con le “epatectomie maggiori” che sono di più semplice esecuzione ma che comportano l’asportazione di grandi volumi di fegato. Questa tecnica invece, definita appunto di risparmio d’organo, consiste nel preservare ed, eventualmente, ricostruire interamente le strutture anatomiche interessate con interventi lunghi e complessi ma senza la necessità di portare il fegato al di fuori del corpo umano, come avviene per l’autotrapianto, e senza aumentare il tasso di complicanze, la mortalità, le perdite ematiche e la degenza post-operatoria, consentendo una vita perfettamente normale nel paziente operato e, soprattutto, la conservazione del proprio fegato.

Questo è quanto accaduto a Pisa poche settimane fa. La paziente ora sta bene ed è tornata a una vita normale.

Tutto risale al 2010, quando le venne diagnosticata per la prima volta una neoplasia del colon con metastasi epatica localizzata alla confluenza epato-cavale, giudicata inoperabile con la chirurgia epatica tradizionale, tanto da tentare una palliazione con un trattamento radiologico trans-arterioso. Ma per questa malattia, dal punto di vista oncologico, l’asportazione chirurgica rappresenta l’unica reale chance terapeutica dopo la chemioterapia sistemica. In letteratura, per lesioni localizzate alla confluenza epato-cavale, sono state descritte procedure chirurgiche estreme come appunto l’autotrapianto di fegato (asportazione di tutto il fegato, che viene “ripulito al di fuori del corpo umano” e quindi reimpiantato nel paziente stesso) che tuttavia viene raramente applicato a causa dei rischi a cui si espone il paziente. Nei casi in cui l’esito dell’autotrapianto sia favorevole, infatti, l’impatto mediatico è notevole.

A Pisa in quegli anni, come detto, il dottor Urbani stava introducendo nell’Unità operativa di Chirurgia Generale questa nuova tecnica del risparmio d’organo. L’intervento alla paziente fu quindi effettuato con successo nel 2012 e fu talmente innovativo da essere descritto in una pubblicazione scientifica nel 2015

In pratica fu risparmiato sia il fegato di destra che di sinistra dopo 16 ore di intervento, 17 giorni di ricovero e nessuna trasfusione ematica. Il successivo follow-up radiologico evidenziò un fegato normale con tutte le sue strutture vitali preservate.

Sei anni dopo la prima resezione epatica, purtroppo, come spesso avviene nei casi di tumore primitivo del colon con metastasi epatiche, c’è stata una ripresa di malattia a livello linfonodale con il coinvolgimento però della via biliare, della vena porta, dell’arteria epatica e della vena cava. Ancora una volta la chirurgia rappresentava l’unica concreta chance terapeutica, ed ancora una volta la complessità della localizzazione della malattia esponeva la paziente ai rischi dell’autotrapianto di fegato. Invece, a Pisa viene eseguita una seconda resezione epatica con tecnica di risparmio d’organo ricostruendo le strutture anatomiche interessate dalla neoplasia con un intervento di dieci ore, 8 giorni di ricovero e nessuna trasfusione ematica.

Una vita normale senza evidenza di malattia, a otto anni dalla diagnosi del tumore metastatico del colon, rappresenta un ottimo esempio di quanto possa essere vantaggiosa la chirurgia epatica del risparmio d’organo. In caso di recidiva limitata al fegato, infatti, è appurato che la probabilità di sopravvivenza sia direttamente proporzionale alla quantità di fegato lasciata dopo la prima resezione.

L’eccezionalità di questo caso risiede nel fatto che, in 6 anni, sono stati eseguiti, nella stessa paziente, due interventi al fegato con complessità tecnica sempre crescente ma sempre col fine del risparmio dell’organo. Con entrambi gli interventi è stata asportata una minima quantità di fegato (meno di tre segmenti epatici adiacenti), a riprova del fatto che il caso non era né inoperabile nè tantomeno candidato ad un autotrapianto.


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