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Turchia tra crisi economica interna e mire geopolitiche nel Mediterraneo

di - giovedì 01 settembre 2022 ore 19:00

In Siria l'esercito turco bombarda i curdi, quello russo gli anti-governativi e gli americani le basi iraniane. Intanto, Ankara riallaccia le relazioni con Damasco. Il recente incontro del ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu con l'omologo siriano, Faisal Mekdad, è stato il segnale che il disgelo tra le parti è in atto. Dopo le pessime relazioni intercorse tra il presidente Erdogan e il dittatore Bashar Assad nell'ultimo decennio. 

A far da paciere ovviamente lo zar Putin, che della Siria e del regime è il grande protettore. Mentre, del sultano è un partner economico privilegiato, fornendo al Bosforo gas e petrolio. Dal punto di vista sia politico che geopolitico è proprio Erdogan in questo momento ad aver maggior interesse a rafforzare la stabilità di Assad. E non solo per la questione curda, le violenze xenofobe nei confronti dei rifugiati siriani (oltre 3 milioni) è un problema che rischia d'implodere incontrollabile in Turchia, ritorcendosi contro Erdogan nel bel mezzo della prossima campagna elettorale. Elezioni che appaiono dall'esito non scontato per il leader dell'AKP, partito islamista che durante questo ventennio di governo Erdogan ha plasmato a propria immagine, sempre più nazionalista e sempre meno democratico. Ma che ora pare aver perso l'appeal del largo consenso elettorale ricevuto in passato. 

La principale causa del crollo di popolarità è da imputare alla grave crisi economica, con l'inflazione cronica che frena la crescita e la pesante svalutazione della lira turca. I rincari nel comparto alimentare in estate hanno sfiorato le tre cifre percentuali. L'ex sindaco di Istanbul propone come cura all'aumento dei prezzi una non troppo convenzionale politica dei bassi tassi d'interesse, evitando così di adottare misure di austerità dal sapore impopolare in vista del voto nel 2023.

Sul fronte internazionale da mesi Erdogan è attivo come una trottola. Impegnato al tavolo di complesse trattative diplomatiche, da quella nel conflitto ucraino a quella nel Nagorno Karabakh tra armeni e azeri. A livello regionale ha ristabilito buoni rapporti (ma non solidi) con Israele e persino con la monarchia saudita (da cui spera di ricevere ingenti finanziamenti). Mantiene un canale diretto con Teheran e Washington, trattandoli alla pari. Accoglie a braccia aperte il presidente palestinese Abu Mazen e strizza l'occhio ad Hamas. È fonte di tensione in Libia e nelle acque al largo di Cipro.

L'ambiguità della politica estera di Erdogan è una costante del suo operato, un marchio di fabbrica che avrebbe potuto minarne la credibilità. Al contrario l'ipocrisia mostrata con presuntuosa sfacciataggine gli ha permesso di essere investito di un ruolo chiave in vari scacchieri. Insomma, per dirla come Mario Draghi “un dittatore di cui si ha bisogno”, tanto per risolvere l'emergenza rifugiati siriani quanto nello sbloccare l'export del grano ucraino. Dove le potenze europee latitano si preferisce affidarsi ad un personaggio universalmente riconosciuto inaffidabile.


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