Cultura domenica 30 gennaio 2022 ore 13:00
Applausi fragorosi per ‘Misericordia’ a Cascina
Torna a La Città del Teatro di Cascina con una nuova produzione, Emma Dante, regista di assoluto rilievo nel panorama del teatro italiano contemporaneo
CASCINA — Quattro sedie su sfondo nero e platea rossa pullulante di vita perché, per fortuna non si è persa la voglia di andare a teatro specie quando in scena ci sono spettacoli che meritano luce ed attenzione. Per questo dobbiamo ringraziare chi fa le scelte giuste per la stagione teatrale da mettere in cartellone. Ed è certamente una scelta giusta ‘Misericordia’, l’ultimo spettacolo di Emma Dante già ospite de La città del Teatro di Cascina con ‘Le Sorelle Macaluso’ nel 2016 e soprattutto con ‘Carnezzeria’ (Premio Ubu 2002/2003 come "Nuovo testo italiano"), lo spettacolo spartiacque nel percorso artistico della regista e parte della ‘Trilogia Palermitana’ dedicata alla famiglia con ‘mpalermu’ e ‘Vita mia’.
‘Misericordia’ torna sul tema della famiglia intesa qui nella sua accezione libera dai vincoli di parentela ma fondata su altri tipi di legami, invisibili nel sangue ma che scorrono nella linfa di un quotidiano condiviso per scelta e per amore. Dall’unione di misereor (ho pietà) e cor -cordis (cuore) nasce la parola misericordia, quel sentimento generalmente identificato con la compassione per la miseria altrui. Una virtù morale dall'etica cristiana resa icona da Caravaggio (Sette opere di Misericordia - 1607) che si concretizza in atti di pietà che scaturiscono non dalla ragione ma dal cuore e che come tali, appartengono a tutti, anche a chi sembra non avere nulla da donare se non la propria miseria, come viene a raccontarci lo spettacolo.
Tutto nasce dall’ordito, dal ritmo sferruzzante che emerge dal buio e innesca il racconto, una partitura di azioni precise come note musicali, immagini e suoni in cui ogni elemento si perde nell’altro e traghetta chi assiste attraverso la storia. Lo spazio guadagna profondità attraverso il movimento degli attori e i pochi oggetti che, con la musica, fungono da detonatori per lo sviluppo della storia. I dialoghi si perdono e si ritrovano in una trama di lingua, dialetto e grammelot attraverso cui si veicolano brandelli di vita vissuta, ricordi che accendono la memoria di chi è restato suo malgrado e continua a dover scegliere per se stesso ma anche per chi, come Arturo, non può farlo da solo. Arturo (il portentoso Simone Zambelli) è un ragazzino, nu picciriddu scemunito, nato settimino dal ventre malmenato di Lucia, morta per darlo alla luce e affidato alle cure misericordiose delle tre puttane che con lei condividevano casa e mestiere. Sono loro ad evocare la presenza di Lucia in scena attraverso il suo ricordo: secca come un'acciuga, generosa con tutte (e a differenza di tutte) e con la radiolina sempre accesa per ballare coi masculi come Geppetto, il padre di Arturo, un uomo dal nome dolce ma dalle mani pesanti da scaricare su Lucia anche e soprattutto dopo aver saputo che aspettava un figlio suo.
La notizia dell’arrivo del bambino è una festa per la casa, messa in scena come una giostra di felicità con Arturo al centro, ammantato nella veste fiorata della madre, danzante sulle note della filastrocca di Oh che bel castello marcondirondirondello. Dal giorno in cui è nato, Arturo non sta mai fermo, uno ‘sfarfallìo’ continuo sospinto da psyckè (il soffio vitale che definisce l’essere nella Grecia antica). Non si riposa mai Arturo che pare ‘dia l’anima a Dio’, lo sgridano le madri, e infatti balla come un mistico, senza sosta e senza sforzo come un derviscio rotante. Per tutti fu una bella notizia la sua nascita. Per tutti meno che per Geppetto e questo si sapeva. Si sapeva della rabbia, della violenza, delle botte sulla pancia come fosse un punchball sempre più grande. Sette mesi di inferno com-patito. Ed è qui, in bilico tra ciò che si sceglie e ciò che si fa finta di non vedere (per paura, per avere in premio un pasticcino, una ‘cassatina’) che sta qui il dolore del racconto: Anna, Nuzza e Bettina (Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi) tre voci dello stesso coro, sapevano. Sono loro le testimoni azzittite di ciò che accadde e che rimane tra loro come un’ombra, intrisa di dubbio e tormento reciproco (scemunito è nato e tu la dovevi convincere ad abortire) che solo l’atto di misericordia ha potuto scolorire.
Così hanno cresciuto Arturo, come madri, si sono prese cura di quel burattino fino ad amarlo e gioire nel vederlo crescere e pur nella sua diversità, diventare un bambino proprio come Pinocchio (apertamente citato nella colonna sonora con “Le Avventure di Pinocchio”, firmata da Fiorenzo Carpi). Lo hanno nutrito, vestito e inventato strategie per farlo addormentare qui tradotte in una magistrale danza del cuscino-piffero magico accompagnata dal tema balcanico di un carillon. Una scena indimenticabile come la portentosa interpretazione delle attrici che per un’ora hanno animato un caleidoscopio di quadri dalla nascita di Arturo, alla già citata scena della giostra, al gioco-litigio della monnezza, alla scena legata al mestiere della prostituzione=mettere davanti, il mettere in vendita la carne come unica cosa che si ha, oltre ai sogni. Quelli rimangono a portare luce nella stanza lorda e maleodorante; si può ancora sognare, almeno per quel che riguarda Arturo, per il piccolo di casa che presto potrà avere una stanza tutta per sé, con i cassetti dove mettere tuttecose (tra cui il ciondolo d’argento lasciato dalla madre come portafortuna), una finestra da dove far entrare il sole e pure nu termosifone.
Alla fine dello spettacolo Arturo si veste da solo, è diventato grande, è pronto per andare e sono proprio le sue tre mamme a regalargli il diritto a una vita dignitosa, in un convitto, fuori dalla miseria pur piena di misericordia, in cui ha vissuto. Perché prima o poi ‘arriva il giorno che il giorno raggiorna’ come dice Edoardo Sanguineti in La ballata delle donne (Poesie 1951-2004) ed è in uno dei suoi versi che rinvengo le parole per racchiudere un po’ di quello che scorre nello spettacolo: ‘Femmina penso, se penso l'umano.’
Arturo se ne andrà nel segno della musica della banda, la stessa che ogni giorno aspetta alla sua finestra, quella di cui imita gli strumenti, che vede passare e svanire e che invece oggi lo porterà via tra gli applausi lunghi, meritati e fragorosi del pubblico presente.
Scritto e diretto da Emma Dante
con Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Simone Zambelli
luci Cristian Zucaro
assistente di produzione Daniela Gusmano
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone,Roma
Manuela Lo Sicco Premio Ubu 2021 Miglior Attrice per "Misericordia"
Elisa Cosci
© Riproduzione riservata
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