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Attualità giovedì 07 agosto 2025 ore 15:30
Anatolia, scoperto il cerchio dei bimbi perduti

La campagna di scavo della Missione Archeologica Italiana, guidata dall’Unipi, rivela resti di infanti in un contesto rituale di epoca ittita
PISA — Ritrovati resti umani infantili in un contesto che lascia ipotizzare pratiche rituali di epoca ittita. E' la scoperta che arriva dalla diciottesima campagna di scavo della Missione Archeologica Italiana in Anatolia Centrale, guidata dall’Università di Pisa nel sito di Uşaklı Höyük, sull’altopiano anatolico centrale.
Le ricerche di questi ultimi mesi hanno permesso di chiarire aspetti finora poco noti relativi alla cosiddetta Struttura Circolare di età ittita, scoperta nel 2021, contribuendo a definirne la funzione e il contesto d’uso. Al tempo stesso, le indagini hanno restituito elementi preziosi per comprendere lo sviluppo dell’insediamento a partire dall’età del Ferro, offrendo nuove chiavi di lettura dei cambiamenti che accompagnano l’evoluzione delle strutture sociali e politiche. I ritrovamenti più significativi riguardano i resti di sette infanti in stretta connessione con la cosiddetta Struttura Circolare, un’enigmatica architettura in pietra che già in anni recenti aveva attirato l’attenzione degli studiosi per la sua possibile funzione cultuale, forse in rapporto con il culto del Dio della Tempesta, divinità principale della città ittita di Zippalanda. Le ossa non sono deposte in tombe vere e proprie, ma associate a frammenti ceramici, cenere e resti animali. Le fonti ittite non forniscono indicazioni chiare sui rituali riservati ai bambini deceduti ma i ritrovamenti di Uşaklı rafforzano l’ipotesi che si trattasse di un’area destinata alla loro deposizione, così come accadeva, ad esempio, nel caso dei tofet delle città fenicie e puniche.
“Il legame tra i resti e l’architettura monumentale – ha sottolineato il professor Anacleto D’Agostino – appare ormai evidente. Siamo di fronte a uno spazio che probabilmente aveva una funzione rituale connessa con le pratiche comunitarie e i suoi valori simbolici della popolazione che vi ha abitato nel corso del Tardo Bronzo”. Particolarmente rilevante è il ritrovamento del dente di un infante, sia per la possibilità di ottenere una datazione assoluta, sia perché – grazie al suo stato di conservazione e al contesto stratigrafico preciso – potrà fornire, attraverso le analisi del Dna, dati fondamentali sulla composizione biologica delle genti che abitavano il sito nel periodo ittita. Gli studi sono in corso presso il laboratorio Human_G dell’Università Hacettepe di Ankara.
In un saggio esplorativo sempre nell'aea in questione, a quattro metri di profondità, è emerso anche un deposito di distruzione con pietre bruciate e ceneri, databile alla media età del Ferro, che potrà offrire nuove informazioni su un periodo ancora poco conosciuto nella regione. La sequenza di pavimenti lastricati e punti fuoco, oltre al ritrovamento di un braciere in pietra suggeriscono una continuità funzionale dell’area, mentre l’assenza di tracce di epoca medievale, documentate invece nella città bassa, ne conferma l’abbandono in età posteriore. Accanto poi ai dati architettonici e antropologici, lo studio dei materiali ha permesso di approfondire la conoscenza delle pratiche alimentari, produttive e rituali.
Coordinato dall’Università di Pisa in collaborazione con numerose istituzioni turche ed europee, il progetto rappresenta l’unica missione italiana in un insediamento ittita nel cuore della madrepatria. Un’esperienza di cooperazione scientifica e formativa resa possibile dal supporto della Direzione Generale del Patrimonio Culturale della Turchia e finanziata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiano, dalla Fondazione per l’Oriente Mediterraneo, dall’Università di Oxfors e dal Progetto PRIN AlandAcon fondi Next Generation EU. Il team di archeologi dell’Ateneo pisano, coordinato da Anacleto D’Agostino, professore di Archeologia e Storia dell'Arte dell’Asia occidentale, era composto da studenti e archeologi del dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere, che hanno lavorato nell’ambito di un progetto internazionale a fianco di ricercatori provenienti dalle università Koç (Istanbul), Siena, Firenze, UCL (Londra), Bozok (Yozgat), Sapienza (Roma) e Hacettepe (Ankara).
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