In ricordo di un compagno.
di Tito Barbini - giovedì 16 aprile 2020 ore 10:00
La mia Patagonia l’ho vissuta dentro a tante storie ma soprattutto nel racconto che Luis Sepulveda ha scritto e donato a questa terra.
Ripenso a uno dei miei primi viaggi, tanti anni fa, con l’ultimo Patagonia Express. Un libro che mi ha aiutato molto a viaggiare e capire una terra scontrosa e poi amata. Dedico questo ricordo a Luis, nel giorno che ci ha lasciato.
Da Nahuel Pan, Patagonia arida, un po’ prima della fine del mondo, ogni giorno, o quasi, parte un treno. Torna a Esquel da dove è partito, frontiera di neve col Cile. Dai finestrini vengono incontro e si materializzano all’improvviso vecchie stazioncine abbandonate, vagoni lasciati lì a corrodersi e a lottare con il vento. A volte dalle stazioni deserte si dipanano rotaie arrugginite che si dirigono verso il nulla. Sepulveda riusciva a ritrovarsi e farci trovare tra i diseredati del mondo. Per questo nei suoi libri era stato guardiano di pecore e mucche nelle praterie patagoniche, per questo aveva abitato con i pescatori di granchi rossi a Punta Arenas , ultima città del Cile e attraversato con loro lo stretto di Magellano. Aveva vissuto con Francisco Coloane in mezzo ai cacciatori di foche, aveva navigato con lui a fianco di balene bianche.
Poi, a quarant’anni, aveva cominciato a scrivere. Era scampato a Pinochet che voleva tutti i comunisti morti o in galera o torturati nell’isola di Dawson. Era amico di Salvador Allende e lo aveva difeso, prima di essere preso, nel Palazzo della Moneta a Santiago del Cile, nel terribile giorno del golpe fascista.
Scrisse e ci raccontò il suo mondo alla fine del mondo. Fatto di oceani lividi, di fiordi e parole semplici, popolati di foche e balene, pescatori e naufragi. Naufragi di legni ma anche di uomini. E la sua Patagonia coperta di erba grassa e bestiame asciutto e venti che conoscono la libertà.
E il rumore del treno scandisce le parole che arrivano come doni inaspettati. Impossibile non pensare alle parole che Sepúlveda volle dedicare a Coloane:
"Iniziai a camminare nel parco, poi per le strade deserte, all’improvviso mi accorsi che l’eco dei miei passi si moltiplicava. Non ero solo. Non sarei stato solo mai più.
Coloane mi ha passato i suoi fantasmi, i suoi personaggi, gli indios e gli emigranti di tutte le latitudini che abitano la Patagonia e la Terra del Fuoco, i suoi marinai e i suoi vagabondi del mare. Adesso sono tutti con me e mi permettono di dire a voce alta che vivere è un magnifico esercizio".
Tito Barbini