La leggenda dell'angelo
di Maria Caruso - mercoledì 11 marzo 2015 ore 15:56
La leggenda è un tipo di racconto molto antico, come può esserlo il mito, la favola e la fiaba e fa parte del patrimonio culturale di ogni popolo. E’ di solito un tipo di narrazione orale che appartiene alla tradizione dove il reale e il meraviglioso vengono mescolati insieme.
In verità la parola deriva dal latino legenda che significa "cose che devono essere lette", "degne di essere lette". Con il tempo però il significato si è esteso indicando, infatti, qualsiasi racconto che presenti elementi reali ma trasformati dalla fantasia, tramandato per celebrare fatti o personaggi fondamentali per la storia di un popolo, oppure per spiegare qualche caratteristica dell'ambiente naturale e per dare risposta a dei perché.
Qualche settimana fa ho ballato con un ballerino che conoscevo già. L’uomo in questione è piuttosto alto con un fisico ben impostato corredato da una faccia piena e paffuta ma al tempo stesso dolce che ispira tenerezza. Vecchio tanghero avvezzo al galateo del tango che prevede qualche scambio di parole prima di lasciarsi andare alla connessione.
Così, tanto per dire qualcosa, parlo del mio blog. Lui con espressione sorpresa prende subito la palla al balzo e mi dice: “La conosci la leggenda dell’angelo?”. Scuoto la testa in segno di diniego e lui allora incoraggiato continua con voce suadente: “Parla del tango, sai?”. Così invece di cominciare la tanda ci allontaniamo dalla pista e lui con gli occhi brillanti per l’emozione molto romanticamente come se ricordasse davvero questo episodio, comincia a narrare:
“Si racconta, molto ma molto fa, di un fatto”. “In una delle antiche milonghe argentine nel pieno caldo dell’estate quando l’afa esorta a ballare all’aperto, per caso s’incontrarono cinquanta donne e cinquanta uomini, tutti insiemi”. “La melodia dolce delle tande cominciò a pervadere l’atmosfera e così i ballerini si alzarono per invitare le donne presenti ma ognuno ballava a modo suo, con il proprio stile e con personalità distinte”. “A ogni tango il ballerino trasmetteva qualcosa di suo alla ballerina che aveva tra le braccia e a sua volta anche la donna donava qualcosa di se all’uomo presente davanti a lei ma una volta tornati a sedere entrambi serbavano il ricordo di quanto lasciato dal partner appena abbandonato”.
Il mio narratore si ferma un momento dal suo dire per riprendere fiato continuando ancor più incalzante: “Così alla fine di ogni tanda il ballerino invitava una nuova donna, ma naturalmente nel danzare con lei trasmetteva oltre a qualcosa di suo, un po’ di ciò che la ballerina precedente le aveva lasciato dentro.” Si ferma per farmi seguire il filo del suo discorso ma riprende subito: “La donna in questione a sua volta offriva la sua essenza insieme a qualcosa appreso dal ballerino precedente”. Così mi chiede a bruciapelo: “Lo sai che chi balla lascia sempre qualcosa di se all’altro vero?”. Io per non interrompere il fluire delle sue parole sorrido e accenno di si con la testa ma con lo sguardo lo incoraggio a continuare:
“Ecco!”. “Continuò in questo modo, fino a quando tutti gli uomini non ebbero ballato con tutte le donne presenti nella sala”. Con gli occhi ancora del sognatore intuisco che sta per terminare il suo racconto poiché la voce si fa ancor più bassa: “A un certo punto successe la magia del tango”. “In fin di serata tutti i ballerini ballavano allo stesso modo con una sintonia spettacolare, rispettosi della ronda e del proprio posto perché tutti si erano scambiati le personali entità e al momento della cumparsita, ultimo tango per definizione che pone l’accento sul finale, d’improvviso tutti quanti, alzarono la testa per guardare il cielo stellato ma solo una coppia riuscì a scorgere l’angelo dell’amore e s’innamorò”.
Mi commuovo nel vedere quest’uomo con il capo alzato a cercare le stelle fittizie nel soffitto della sala e nell’intento di riprendere a ballare ci accorgiamo che la nostra tanda è finita così mi rimetto a sedere con l’idea di scrivere questa bellissima e romantica storia, sogno forse, di molti tangheri.
Maria Caruso