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Tassa di soggiorno e disabilità, i disagi di una coppia torinese a Pisa

Michela Farabella e Gianni Moscato, coppia torinese con disabilità riconosciuta, chiedono rispetto e chiarezza raccontando la loro storia



PISA — Una tassa pensata per sostenere i servizi legati al turismo che, nella pratica, viene richiesta anche a chi in città non ci va per piacere ma per curarsi. È da qui che parte la storia di Michela Farabella e Gianni Moscato, coppia torinese con disabilità riconosciuta, che ha deciso di raccontare quanto accaduto a Pisa durante un soggiorno legato a un intervento al cuore.

“Non scriviamo per spirito polemico, ma per difendere un principio: la dignità delle persone con disabilità non è negoziabile”, hanno raccontato a Qui News Pisa. Il punto, dicono, va oltre il loro caso personale. Riguarda chiunque, per ragioni di salute, sia costretto a spostarsi, pernottare lontano da casa, affrontare cure e visite in un contesto già pesante dal punto di vista fisico ed emotivo. “Non eravamo in vacanza. La priorità non era vedere monumenti, ma affrontare esami, attese, paura e speranza”.

Secondo il loro racconto, nonostante questa situazione, la coppia si è vista trattare come “semplici turisti qualunque”. E qui entra la parte che più li ha colpiti: entrambi, spiegano, avevano con sé "la documentazione completa. Verbali ufficiali di invalidità civile, riconoscimento di handicap ai sensi della Legge 104 e anche la Disability Card Europea, nata proprio per facilitare il riconoscimento della disabilità durante gli spostamenti. Documenti chiari, formali, validi. Eppure non ci è stato consentito di farli valere”. In alcuni casi, hanno aggiunto, si sarebbero sentiti rispondere che quei documenti “non servivano”. In altri, che la Disability Card non era conosciuta.

“Qui pagano tutti”. Una risposta che descrivono come uno schiaffo, perché mette sullo stesso piano chi è in città per svago e chi è lì per un percorso sanitario. “Equiparare una persona con disabilità grave, presente per un intervento, a un turista in vacanza significa negare il principio di equità”, hanno sostenuto. Anche perché, hanno ricordato, "la disabilità porta con sé costi e difficoltà aggiuntive quotidiane: spostamenti più complessi, esigenze specifiche, carichi economici e organizzativi".

Per Michela e Gianni, il tema è anche di senso: la tassa di soggiorno nasce per sostenere servizi collegati al turismo. “Quando viene applicata indistintamente anche a chi non è in città per turismo, perde legittimità morale”. Pagare, dicono, non è stato soltanto un esborso: “È stato il messaggio implicito che ci è arrivato: la vostra condizione non conta. Pagate e basta”.

Da qui la scelta di rendere pubblica la vicenda. “Non lo facciamo per recuperare pochi euro”, chiariscono. “Lo facciamo perché non dovrebbe accadere a nessuno: a nessuna persona disabile, a nessuna coppia che affronta una malattia, a nessun cittadino che già provato fisicamente e psicologicamente si trova costretto a difendersi anche da un sistema amministrativo indifferente”.

Le richieste, alla fine, sono precise. Chiedono chiarezza su come debba essere applicata la tassa di soggiorno alle persone con disabilità presenti per motivi sanitari; formazione e informazioni per chi lavora nelle strutture ricettive; riconoscimento pieno della Disability Card Europea; rispetto sostanziale, non solo formale, dei diritti delle persone con disabilità. “Una società si misura da come tratta i più fragili”, concludono, “non da quanto riesce a incassare da loro”.

Michele Bufalino
© Riproduzione riservata


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