Attualità venerdì 07 marzo 2025 ore 11:30
Simona Casarosa, eccellenza pisana a Trento

La ricercatrice è un punto di riferimento sulle malattie oculari. "A Pisa solo contratti precari, 15 anni fa la svolta"
PISA — Simona Casarosa, professoressa ordinaria all’Università di Trento, si occupa di ricerca sulle malattie oculari, con particolare attenzione a quelle degenerative della retina. Da Pisa, un percorso iniziato quasi per caso l’ha portata oggi a lavorare su nuovi possibili farmaci per contrastare la cecità.
Cominciamo dalla sua storia: perché hai lasciato Pisa per Trento?
"Mi sono laureata e ho ottenuto il dottorato a Pisa, dove poi ho lavorato per diversi anni con contratti precari. Avrei voluto continuare qui, ma non c'era possibilità di stabilizzarmi. Così ho guardato altrove, anche all'estero e ho trovato una grande opportunità a Trento, dove stavano creando un nuovo centro di ricerca e un corso di laurea in biotecnologie".
C'è qualcuno che l'ha convita più degli altri?
"Sì, Alessandro Quattrone, allora direttore del centro. Mi ha conquistato la sua visione: abbiamo condiviso idee e progetti. C'è stato un momento di scambio reciproco e fiducia che ha reso la mia scelta serena".
In che cosa consiste esattamente la sua ricerca?
"Studio malattie degenerative della retina che causano la morte dei fotorecettori, le cellule responsabili della ricezione della luce. Lavoro con il pesce zebra, che ha geni simili a quelli umani. Introducendo mutazioni specifiche, cerco di comprendere come queste portano alla morte delle cellule, il primo passo per sviluppare nuovi farmaci".
Avete già obiettivi concreti nei prossimi mesi?
"Nei prossimi uno o due anni speriamo di chiarire in dettaglio i meccanismi molecolari coinvolti nella degenerazione delle cellule retiniche, per suggerire nuovi possibili trattamenti farmacologici".
Quali altri ambiti si applicano alla sua ricerca?
"Lavoriamo con gli oculisti dell’Apss (Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento) su un’altra patologia molto diffusa: la degenerazione maculare legata all’invecchiamento. È una malattia che colpisce circa un milione di persone in Italia, ovvero il 10% della popolazione sopra i 65 anni".
Nel tuo lavoro ha notato un divario di genere?
"In biologia non c'è un grosso problema iniziale, perché ci sono molte donne che si iscrivono a corsi di laurea scientifici. Ma andando avanti nella carriera, soprattutto in ambito accademico, le donne diminuiscono molto. Io sono appena diventata professoressa ordinaria e vedo ancora chiaramente questo divario".
Vuole aggiungere qualcosa?
"Credo fortemente nella comunicazione della scienza. È importante che gli scienziati trovino il tempo e i modi per dialogare con la cittadinanza, spiegando con chiarezza il senso e il valore della loro ricerca".
Michele Bufalino
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