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venerdì 24 gennaio 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​L’al di là … in diciannove racconti

di Pierantonio Pardi - venerdì 27 dicembre 2024 ore 08:30

Eh, sì, parliamoci chiaro, credo che non sia piacevole per nessuno andarsene nell’al di là; già il solo pensiero attiva gestualità apotropaiche con la destra che si proietta nelle zone basse a palpare i gioielli di famiglia.

Poi c’è chi come Amleto si toglierebbe volentieri di torno se non fosse ossessionato dall’idea di cosa lo aspetta dopo:

Se non vi fosse la paura di qualcosa oltre la morte, Il paese inesplorato, da cui confini nessun viaggiatore fa ritorno – a sgomentare la volontà.

O chi, come Giorgio Caproni, la prende con disincantata ironia e così si esprime in “Congedo del viaggiatore cerimonioso”:Amici, credo che sia / meglio per me cominciare / a tirar giù la valigia./ Anche se non so bene l’ora / d’arrivo, e neppure / conosca quali stazioni / precedano la mia,/ sicuri segni mi dicono/ , da quanto m’è giunto all’orecchio/ di questi luoghi, ch’io / vi dovrò presto lasciare.

E infine c’è Alberto Martini, l’autore del libro che andrò a presentare, che narra in diciannove racconti i tanti modi

per andarsene nell’al di là, unendo nella sua narrazione la sua esperienza di medico psichiatra e i ricordi autobiografici della sua infanzia e adolescenza.

Alberto Martini

Commiati

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Ed ecco, in breve, il plot del libro, estratto dal risvolto di copertina:

Commiati è un libro che nasce dalla realtà. Quella che si vorrebbe rimuovere, tenere lontana dalla vita di ogni giorno: una frattura drammatica nell’esistenza, il ricordo di esperienze dolorose, l’ineluttabilità della morte. Le storie narrate scaturiscono da un’esperienza diretta, frutto di una rielaborazione fedele alla matrice. Lo sguardo attento dell’Autore ce le restituisce, con stile asciutto ed elegante, con l’intento di garantire la durata nel tempo di vicende e personaggi che altrimenti andrebbero perduti, mentre ogni uomo “merita almeno il ricordo”. Ed è proprio attraverso la ricostruzione del ricordo che si svela una visione della vita – permeata sotto traccia dalla cultura medica – in perfetto equilibro tra cinismo, ironia e tenerezza verso la condizione umana, rappresentata in tutte le sue sfaccettature, fino all’esperienza ultima del distacco. Arricchiscono queste dense pagine, aggiungendo anche la suggestione di una lettura iconografica, alcuni disegni originali eseguiti a china dall’Autore.

Aggiungo a questo la postfazione di Athos Bigongiali:

Pioveva il giorno in cui raccolsi dalla mia cassetta delle lettere la busta che Alberto Martini vi aveva recapitato: pioveva e il manoscritto contenuto nella busta si era un po’ bagnato, soprattutto la prima pagina dove in capo al racconto iniziale era scritto, in maiuscolo, il titolo della raccolta: COMMIATI.

Pioveva e la carta si era impregnata d’acqua, poca per fortuna, ma sufficiente a rendere la lettura di quella parola ancora più aderente a ciò che con essa si vuole esprimere. I commiati sono sempre velati da un senso di tristezza, perché chi si saluta in quel momento si sta allontanando talvolta per uno di quei viaggi da cu non si torna.

Ci si può accomiatare dicendo addio oppure arrivederci ma quel che si prova nel dirlo non cambia: il commiato è un congedo definitivo. A questa interpretazione fui indotto dai segni lasciati dalla pioggia, associandoli alle lacrime; ma intanto avevo cominciato a leggere i racconti e quello che più mi colpiva era il segno nitido delle parole usate per raccontare, era l’asciuttezza della prosa con cui venivano narrate le vicende dei protagonisti delle storie.

Conoscendo Alberto e la sua sensibilità ero colpito dalla sua capacità di tenere a distanza il narrato, così vicino a lui, sia come medico, sia come uomo, per di più bambino o adolescente, e qui figlio, qui nipote, qui vecchio amico delle persone rappresentate sulle varie scene dei racconti.

Pareva, l’ Autore, aver introitato nel migliore dei modi la lezione di Leonardo Sciascia quando raccomanda di scrivere stando sulla Luna le cose da cui ci sentiamo più coinvolti. In ogni caso avevo capito che i partecipi commiati di Alberto dovevano essere letti come testimonianze, come memorie di sé testimone di memorie altrui, come storie raccontate perché restassero, sottraendole all’oblio a cui altrimenti sarebbero condannate.

Alberto Martini ha svolto questo compito con sagacia e piena consapevolezza: ha fatto appello per questo alla sua forza d’animo, alle sue qualità di medico, all’amore verso il prossimo e a quella libertà di pensiero che connota tutte le sue esperienze di vita. Gliene siamo grati e ci congediamo da lui con un commiato che, in questo caso, è solo un arrivederci: magari ad un altro libro, altrettanto ben scritto e significativo come quello che abbiamo appena finito di leggere.

E certamente, nessuno meglio di Athos poteva commentare questo libro; non a caso , a suo tempo, scrisse un romanzo “Veglia irlandese”, un Wake, (come nota Tabucchi) una veglia funebre secondo le tradizioni della vecchia Irlanda, affidando la voce narrante alla vecchia Gertrude Bannister, colta nell’ultima notte della sua vita che si racconta mescolando memoria, voci, punti di vista, allucinazione e delirio.

Joyce, nel racconto “I morti” che chiude la raccolta dei “Dubliners” fa riflettere i suoi protagonisti sulla presenza della nera signora nell’esistenza umana evidenziando come la distanza tra vivi e morti si assottigli sempre di più.

Ho ricordato Joyce, perché anche nei racconti di Alberto, i suoi protagonisti si muovono come equilibristi su quel filo sottile che unisce metaforicamente la vita e la morte, spesso ironizzandoci sopra:

Ero arrivato già da un pezzo con mia moglie nella corsia d’ospedale. Ero fatto così: per me essere puntuali dignificava arrivare sempre mezz’ora prima. Avrei potuto smentirmi in quel freddo mattino di febbraio, quando l’argomento all’ordine del giorno era la mia morte?

Questo è l’incipit del racconto “Non fiori, né opere di bene”, un incipit basato sulla prolessi, sul modello, per intenderci del racconto di Marquez “Cronaca di una morte annunciata”. E’ il racconto di un uomo che parla con disincantata ironia del giorno della sua morte, E’ uno dei tanti quadretti che compongono queste storie, dove troviamo il figlio malato che riceve la visita dei genitori e della nonna, il silenzio angoscioso di una madre perché “Il suo bambino è su al primo piano, marcato da una crisi, le mani chiuse, pugnetti dove si infrange la speranza, il respiro rumoroso, la nuca a toccare i glutei, la bocca spalancata in un pianto inconsolabile, le infermiere impotenti.

E la situazione paradossale dei due zii che si sono rotti tutti e due i femori: i malanni a ripetizione hanno almeno questo di positivo: che a volte ci viene da ridere. Chiosa l’autore che intreccia in queste storie la sua esperienza di medico a quella più intimamente autobiografica, come nello struggente racconto “Il primo addio” dove narra la morte del nonno e il suo amore per il cavallo che si era comprato appena andato in pensione e che era per lui, che veniva da una famiglia di barrocciai , parte della sua vita: a pensarci bene non ebbe da imparare il codice della strada, fare il pieno di benzina e si concesse il lusso di non prendere mai una multa per divieto di sosta. Per di più il suo Nino si accontentava di fieno e biada e dal tubo di scappamento emetteva residui in perfetto equilibrio con l’ecosistema.

La maggior parte di questi racconti hanno come cornice la campagna, con i suoi riti e i suoi tempi lunghi e antichi, poi la famiglia si trasferirà in città; ma c’è un racconto, sempre legato alla campagna, che mi ha fatto ricordare, nella scabrosità dell’argomento e nel realismo impressionista del linguaggio il Federigo Tozzi de “Con gli occhi chiusi” ed è “Crocifissione di paese” dove si descrive l’uccisione del maiale. Dopo che il Manetti (il norcino) ha trafitto con un punteruolo il cuore della bestia le cui atroci grida squarciarono il silenzio della campagna: legarono delle corde alle zampe posteriori dell’animale e lo trascinarono fuori dal recinto. L’enorme testa vacillò. La bocca semiaperta lasciò intravedere la lingua. Il naso rotondo con le due narici sembrava un giocattolo da poppanti. Lo issarono a testa in giù su dei pali appoggiati al muro: l’immagine di una crocifissione di paese.

E ancora la storia di Francesco, il pastore che muore per la rabbia, causatagli dal morso di un cane e in “5 agosto 1944” i quattro giovani uccisi dai tedeschi: E ricordavo ogni volta le parole della nonna: “noi s’era sfollati lassù, al Cisternone, e tutti si sentì quei quattro giovani che gridavano aiuto e chiamavano “mamma, mamma” e poi gli spari che risalirono su per la valle e gelarono il nostro cuore.”

Con queste storie, Alberto Martini ci ha trasportato, con leggerezza e malinconica ironia, in quel vago e nebuloso limbo, anteprima inevitabile per l’aldilà, analizzando alcune storie da un punto di vista “clinico” , ma sempre profondamente umano ed altre, quelle in cui parla di sé e dei suoi cari, con i toni struggenti del ricordo e, spesso, del rimpianto, con un linguaggio a tratti realistico, a tratti elegiaco, manifestando comunque, specialmente quando descrive gli ambienti e i costumi della campagna, la sua vocazione pittorica che, tra l’altro, è presente sotto forma di disegni a china in alcune pagine del libro.

L’autore

Alberto Martini è stato neuropsichiatra infantile. Dalla cultura medica ha tratto elementi per una visione disincantata dell’esistenza umana che fa da sfondo a “Commiati” sua prima esperienza narrativa. Il suo secondo romanzo è “L’uomo dalla vita breve” (Porto Seguro, 2021)

Pierantonio Pardi

Articoli dal Blog “Le pregiate penne” di Pierantonio Pardi