La permanente di Fedora ed i voli di Lanciotto
di Marcella Bitozzi - sabato 01 giugno 2019 ore 15:07
Ho fatto le scuole elementari a Casciana Alta e come altri miei compagni, ho seguito alcune classi insieme a ragazzi più piccoli o più grandi di me. Erano le cosiddette pluriclassi, che ora non esistono più ma che negli anni cinquanta rappresentavano una consuetudine, e venivano create quando i ragazzi non raggiungevano il numero minimo per formare un’unica classe.
Io sono nata nel 1950, e mi ricordo che da piccola giocavo spesso insieme ad un ragazzino di un anno più piccolo, biondo, occhi chiari, Luciano detto “Lucianino” per la corporatura esile e forse anche per il carattere discreto che aveva.
Eravamo due ragazzini tranquilli, ma qualche marachella architettata insieme, l’abbiamo fatta anche noi.
Mi ricordo la sua casa, nel centro del paese, ora semidistrutta dal tempo perché Lucianino si è trasferito a Casciana Terme quando si è sposato, e la casa è passata in mano di gente cittadina che non ha mai provveduto a ristrutturarla.
Dalle finestre e dalla grande terrazza di casa sua, che guardava l’angolo di Via della Fortezza e di Via Magenta, giocavamo spesso insieme, mentre Wanda sua madre ed altre donne lavoravano di cucito, di ricamo o di maglia nella stanza attigua.
I giocattoli a disposizione non erano molti, e poi un maschio ed una femmina non potevano che inventarsi “un gioco” per entrambi i sessi.
Un giorno portammo sul terrazzo un cesto di albicocche trovate in strada, non erano buone da mangiare perché erano completamente marce.
Forse le aveva lasciate lì un contadino, magari per darle in pasto al suino, o saranno forse state un residuo del mercato della frutta di qualche giorno prima, perché in estate i contadini partivano tutti insieme alla mattina presto per Livorno o per Firenze, con il carico della frutta raccolta per venderla al mercato.
Che ci facemmo noi col cesto di albicocche marce? E che potevamo farci se non divertirsi a imbrattarsi le mani e tirarle una per una giù dal terrazzo cercando di colpire chi passava?
Ma non era facile fare centro, tutte le albicocche si spaccavano in terra dopo che il bersaglio era passato.
Una, due, tre… tutte andate a vuoto ma mano mano che il lato della strada si riempiva di poltiglia e di mosche, con un colpo di genio capimmo che dovevano lanciare l’albicocca prima del passaggio delle persone, così che il tempo di caduta fosse ammortizzato dall’ultimo passo del passante, e così facemmo.
Centro al primo colpo. La signora Fedora che era appena uscita dalla parrucchiera Mariella se la beccò in piena permanente.
Non vi dico il putiferio…. Io e Lucianino aspettavamo in silenzio che venissero a malmenarci, appoggiati al muro del terrazzo impauriti, ma nessuno capì che l’avevamo fatto apposta, e così gli urli di Fedora se li prese tutti Wanda, scusandosi e riscusandosi per l’accaduto e perdonando il fatto come “una cosa da ragazzi”.
E poi mi ricordo un’altra volta che ci allontanammo da casa all’insaputa dei genitori per andare a fare visita ai miei parenti a Croce. Mentre percorrevamo Via delle colline sentivamo qualcuno che ci chiamava a squarciagola e noi dritti dritti dai miei parenti che non gradirono affatto la nostra visita e ci riportarono immediatamente a casa.
Quella volta però nessun perdono, ci beccammo tante e tante urla e anche qualche sberla. La mia mamma poi, era di mano lunga e non perdeva occasione di terrorizzarmi con l’ombra della “mano nera”.
Io e Luciano ci eravamo completamente persi di vista. Ci siamo rincontrati durante la proiezione delle vecchie foto collezionate dal nostro cugino comune Martino Mancini e proiettate nel teatro Rossini lo scorso settembre in occasione della fiera paesana.
In un attimo mi sono ricordata di quel bambino timido che frequentava la scuola elementare e giocava insieme a me. E mi sono anche ricordata di suo padre che morì quando lui era piccolo e di cui non voleva parlare. Il primo giorno di scuola, nella nostra pluriclasse, la nuova maestra che arrivava da Pontedera fece il primo appello, e approfittò per fare alcune domande a noi alunni per conoscerci meglio.
Come si chiama tuo padre, che mestiere fa ecc.
Lucianino non rispondeva, diventò tutto rosso e la maestra incredula non capiva il perché.
Fu un’altra nostra compagna che le disse la verità.
Suo padre, Lilio chiamato “Lanciotto” era una persona che tutti guardavano con rispetto, il “pilota” e quando arrivava a Casciana, io stessa evitavo di andare a casa sua, perchè la sua presenza mi metteva soggezione, era da tutti considerato un paesano speciale.
La sua morte era “la notizia” del momento e mi ricordo che per tanto tempo in paese non si parlò d’altro.
E mi ricordo anche il giorno in cui si diceva che il rombo di un aereo passato a bassa quota in paese, era l’addio al “militare Lanciotto” da parte dei suoi compagni.
Quando ci siamo rincontrati a settembre, gli ho chiesto di scovare qualcosa di suo padre.
Il suo racconto è il mio racconto, e lo trascrivo integralmente:
Quando Marcella mi ha chiesto di scrivere qualcosa su mio padre, militare di carriera durante la seconda guerra mondiale, mi sono trovato in difficoltà perché non so molto della sua vita, oltre a quanto raccontatomi da mia madre e dai parenti, racconti ed episodi soprattutto di carattere personale.
Purtroppo mio padre ha vissuto con loro e nel nostro paese non per molto tempo, di lui non ho notizie dirette in quanto morì quando avevo 5 anni e quel poco che so l’ho ricostruito anche dai racconti dei suoi colleghi e dai documenti ufficiali.
Lilio Caprai nacque a Casciana Alta nel febbraio del 1908, terzo figlio di una famiglia di contadini che lavorava la propria terra. Nacque con un parto gemellare, i neonati dovevano chiamarsi Lanciotto e Lilio, uno morì poco dopo e mio padre che sopravvisse fu chiamato nei documenti ufficiali Lilio e nei rapporti familiari Lanciotto. .
Il contesto storico in cui vive la sua adolescenza è quello della fine della prima guerra mondiale, del mito del superuomo, il volo su Vienna di D’Annunzio e le trasvolate di De Pinedo , la nascita del Fascismo e nel 1923 la formazione dell’arma nuova ,” la Regia Aeronautica”.
Lilio cresce a Casciana Alta, ma sogna di andarsene e si arruola nella Regia Aeronautica come sottufficiale addetto alla struttura dei velivoli, il massimo cui poteva aspirare un giovane contadino.
A quel tempo i piloti provenivano dalla nobiltà o dalla grande borghesia.
A 19 anni , nella primavera del 1927, compie il suo primo volo “operativo” in Libia con un biplano SVA della 89° squadriglia da ricognizione . (D’Annunzio nel suo volo su Vienna con la 87° squadriglia aveva utilizzato lo stesso tipo di aeroplano, fatto di legno e tela).
In questi viaggi in mezzo al deserto libico scattò alcune fotografie tra cui quella allegata di un beduino a Gadames, un'oasi nel deserto, oggi al confine tra Libia e Tunisia. E Algeria
Intanto con la fine degli anni 20 era iniziata l’epoca di Italo Balbo e delle trasvolate atlantiche. Gli aerei più importanti erano gli idrovolanti Savoia Marchetti S55 e S56; Lilio nel 1929 era a Sesto Calende sul lago di Garda dove si costruivano questi aerei. Negli anni successivi varie foto testimoniano i suoi continui spostamenti in varie parti del mar Tirreno e Ligure , sempre a supporto di vari tipi di idrovolanti.
A 28 anni per mio padre finisce un capitolo di vita dal sapore romantico ed iniza un periodo a dir poco complesso ;nel 1936 si sposa con Wanda Gasperini, una cascianese doc, e viene trasferito a Catania dove nasce una bambina , Rosanna, che muore di leucemia nel 1938. Pochi mesi dopo muore appena nato il fratellino Giampaolo.
A Catania s’inizia a sentire l’odore della guerra, non si tratta più di volare su idrovolanti da ricognizione nell’alto Tirreno, ma con i bombardieri Savoia Marchetti S81.
All’inizio del 1939 la 214° Squadriglia da bombardamento di stanza a Catania viene trasferita ad Adis Abeba in Etiopia. 1940, l’Italia entra in guerra e nel 1941 insieme agli italiani dellA.O.I. (Africa Orientale Italiana) Lilio viene catturato dagli Inglesi ed inviato in un campo di prigionia in Kenia.
Per lui finisce il periodo fascista e la guerra.
Inizia, come per gli altri prigionieri, un tempo lungo anche anni, è un periodo di riflessione, di malattia e di studio Si discute anche di come è stata persa la guerra in Africa pur in superiorità numerica e tecnica, sulla fuga del Re, sul Fascismo, si confronta la dittatura del Ventennio con la democrazia inglese.
Babbo si diploma in ragioneria , impara la lingua inglese.
Nel referendum del 1946 sostiene la Repubblica, a differenza dei suoi colleghi militari, convinti monarchici, lui, mi diceva mamma, era simpatizzante per quella parte del socialismo che si rifaceva a Saragat. Penso che l’esperienza personale in guerra e nel campo di prigionia e la conoscenza dei militari inglesi abbiano avuto un peso significativo nelle sue scelte.
Rientrato finalmente in Italia a guerra ormai terminata da tempo, dopo un periodo a Casciana Alta, rientra nell’ Arma Aeronautica a Roma. Lo ritroviamo negli anni seguenti facente parte del personale di volo del Presidente del Consiglio De Gasperi in volo per l’Europa per definire il trattato di Parigi (primo nucleo dell’Europa) e per l’adesione dell’Italia alla Nato.
Nel 1950 rientra a casa, viene trasferito con il grado di Maresciallo a Pisa alla neonata 46° Aerobrigata ed inizia a volare molto spesso per l’Europa ,nelle nazioni facenti parte della Nato ed in particolare nella Germania occidentale ed in Gran Bretagna. Nel frattempo nel 1951 nasco io.
Muore nel 1956 a 48 anni , per un tumore diagnosticato in Inghilterra. Questa malattia dette origine ad una fitta corrispondenza tra l’università Inglese e la facoltà di Medicina dall'università di Pisa.
E’ sepolto insieme a Wanda nel Cimitero di Casciana Alta.
Marcella Bitozzi