Welcome Rocco, bye bye Diego
di Franco Bonciani - giovedì 06 giugno 2019 ore 21:55
Era l’estate del 2002 quando a Firenze arrivò un foulard con dentro Diego Della Valle. Avevamo avuto un’annata indimenticabile, noi tifosi della Viola. Penultimi in campionato e retrocessi in B, poi, con la squadra in ritiro agli ordini di Eugenio Fascetti, la notizia: la Fiorentina è fallita. In dieci anni di presidenza Cecchi Gori c’erano state due retrocessioni, qualche scampolo di gloria effimera, la vittoria di un paio di Coppa Italia ed ora la scomparsa, con la comica finale, la fidejussione farlocca arrivata dalla Colombia. Insomma, becchi e bastonati, cosa che accade con una certa frequenza a noi innamorati della Fiorentina.
Apparve Diego Della Valle, imprenditore ricco e illuminato (beh, il confronto con il buon Vittorio era palesemente impari). Uno che parlava di progetto, di terzo scudetto, di sport equo e giusto fu una manna dal cielo per risollevare la passionale tifoseria viola.
Saremmo ripartiti dalla serie C2 ma avevamo un progetto. Centro sportivo all’Incisa, una società modello da seguire con attenzione e orgoglio.
Le prime mosse sembravano tutte azzeccate: affidarsi a Giovanni Galli come dirigente, uno dei nostri (comunque, un signore), l’allenatore giovane e di belle speranze Pietro Vierchowod, una campagna acquisti faraonica per quella serie. E se le avversarie non erano più la Juve o le altre strisciate ma Gubbio, Montevarchi e Gualdo, amen: grande campagna abbonamenti, tanti tifosi al seguito dappertutto, anche a spalar neve, alla bisogna.
Non c‘è Batistuta però Riganò la butta dentro. La C2 non fu una passeggiata, l’allenatore dopo dieci giornate venne esonerato, ma vincemmo il campionato. Il progetto andava avanti, con Diego che incarnava il Giusto, la saggezza e l’equità, i valori dello sport, basta con questa storia di dare tutto ai ricchi e niente agli altri, “anche un ragazzino che tifa Catanzaro deve poter sognare che la sua squadra vinca lo scudetto”. Già.
Avremmo dovuto quindi affrontare la serie C1, nella nostra rincorsa al calcio “che conta”. Ma il calcio italiano è strano, o forse no: è semplicemente italiano. In una estate ancora incasinata si cambiano alcune regole per le società che falliscono, si grazia la Lazio che aveva più debiti della Fiorentina di Cecchi Gori spalmandogli il debito in più di vent’anni e alla fine si regala alla Fiorentina un salto diretto in B per “blasone”.
Non mi entusiasmò e mi sarei aspettato che anche la Famiglia Della Valle dicesse: “No grazie, niente regali, andiamo avanti per la nostra strada. C’è il Progetto”. Invece la Fiorentina incassò il regalo, un condono fa sempre comodo, e partecipò al campionato di B conquistando la serie A ai playoff (altro cambio in panchina), qualche testa era già volata via.
Al ritorno in serie A ci fanno vedere i sorci verdi, le uscite di Diego non sono ben viste dall’establishment, è il campionato con Zoff in panchina (già, altro cambio…) che parla di “cattivi pensieri”. Succedono cose parecchio strane, così strane che, alla fine, i due fratelli Della Valle chiedono lumi su cosa fare a Luciano Moggi. Proprio lui, quello che diventerà il Belzebù del Calcio Italiano nella Calciopoli che esploderà nell’estate del 2006.
Per i Della Valle che volevano capire come fare a tutelarsi in un mondo che non conoscevano è una specie di Canossa viola. Ci salvammo a stento, all’ultima giornata, ma non finì lì.
Il campionato 2005/06 è ricco di gioie: arriva l’emergente Prandelli ad allenare, in attacco Luca Toni fa sfracelli, la Fiorentina si qualifica per partecipare alla Champions League dell’anno successivo, rientriamo alla grande nel calcio che conta e nelle casse viola entreranno soldi buoni per rinforzare la squadra ed il Progetto. Ma noi Viola veniamo infilati a forza in Calciopoli: il pranzo “segreto” con Moggi viene visto come illecito, la Fiorentina è prima retrocessa, poi resta in A con forte penalizzazione nel campionato terminato e 15 punti da scontare in quello dopo, una mannaia: si perde la partecipazione alla Champions appena conquistata e non riusciremo a qualificarci nemmeno per quella successiva, nonostante un gran campionato: una botta di milioni di euro che se ne volano via. I fratelli Della Valle dovranno affrontare un processo e non sarà sportivo: si tratta di penale, stavolta.
L’aurea del Giusto per Diego si è dissolta, ma a Firenze siamo convinti che gli facciano pagare la sfida al Palazzo: a Mr Tod’s gli si vuol bene, comunque lui inizia a farsi da parte. Appare meno, certi entusiasmi sono affievoliti, e poi, detto fra noi, ce lo vedete uno come lui, o il suo foulard, che parla con certi procuratori ed altri soggettini tipici dell’ambiente del calcio?
Prende campo il fratello Andrea, che ha tutti i tratti della persona perbene, un signore, ma fra lui e Diego, detto con affetto, ci corre come fra mangiare e stare a vedere.
Il calcio ha costi enormi e il tentativo di spostare certi equilibri economici in nome dello “sport più equo” è una cosa che è stata pagata cara. I DV ne prendono atto e si adeguano. Si passa dal “anche un ragazzino che tifa Catanzaro eccetera...” al “Con il nostro budget arrivare quarti in campionato è come aver vinto lo scudetto”. Si inizia a parlare di plusvalenze, pare sia una ganzata trovare il modo di rivendere a parecchio giocatori pagati poco. Un trionfo la cessione di Felipe Melo alla Juve, si gode con poco.
Non si trattengono i migliori giocatori e, bene che vada, per gli acquisti spesso si va sull’usato più o meno garantito, il ricondizionato, tipo giocatori reduci da infortuni nella speranza che tornino come nuovi. Anche spendendoci dei bei soldi, come con Giuseppe Rossi e Mario Gomez, una coppia dei sogni che ha frequentato più le infermerie del campo, raggiungendo l’apice con l’acquisto del centrale difensivo, Benalouane, arrivato rotto al mercato di gennaio, ben pagato e restituito al mittente per festeggiare lo scudetto vinto dalla sua squadra inglese, il Leicester, senza aver mai pestato l’erba del Franchi. Becchi e bastonati di nuovo.
Invece di infiammare i cuori con speranze di vittoria e idee vincenti, prende campo il ritornello che “non possiamo competere con chi ha budget superiori al nostro”. Che è un po’ come sentirsi dire da un lavoratore: “Per quello che prendo faccio anche troppo”. Addio entusiasmi, il ricordo dei trentamila abbonati per la C2 si sbiadisce.
I Della Valle provano a rilanciare, a un certo punto: dopo aver abortito l’idea del Centro Sportivo all’Incisa (si ripiega sul mini centro dei campini vicino al Franchi, una toppa), si parla della realizzazione del Nuovo Stadio, siamo nel settembre 2008. Progetto, plastico, idee, piani d’investimento, si individua l’area della realizzazione (non senza polemiche, specie per la superficie richiesta, un cinquantina di ettari…) a Castello. Sindaco Domenici, poi Renzi, quindi Nardella.
Dopo undici anni e altri plastici siamo al punto di partenza, abbiamo assistito a rimpalli di responsabilità, con chi deve tirare fuori i soldi (i Della Valle) che cerca garanzie che chi dovrebbe dare (il Comune) non fornisce. Fra un “vedremo in quale luogo farla”, al “facciamolo alla Mercafir” che va spostata a Peretola, ma "a Peretola ci si rifà l’aeroporto", anzi no, forse, pare di no, beh, alla fine… Alla fine non so se i Della Valle non abbiano capito Firenze o l’abbiano capita troppo bene e quindi non si fidino più di troppi discorsi, buoni solo ad allungare il brodo, a lasciare che il cerino gli si spenga fra le dita.
Nel mezzo a tutto, una storia di 17 anni di occasioni perse, soldi spesi male, gestione societaria spesso imbarazzante, con giocatori coinvolti in risse notturne, che scappano prendendo per i fondelli la dirigenza, un’approssimazione inaccettabile, vedi casi Montolivo, Neto, Salah, solo per citarne alcuni. Anche il Premio Fair Play, una delle tante inziative di “alto spessore morale” prese dalla società, alla fine, si rivela l’ennesima beffa: se lo aggiudica Miroslav Klose, l’attaccante tedesco della Lazio che quando era al Bayern ci costò l’eliminazione dalla Champions con un suo gol segnato in plateale fuori gioco (e lì di fairplay se ne vide poco…). Nuovamente becchi e bastonati ma in fondo, quasi quasi, ci piace.
Altra perla quando l’allenatore Delio Rossi cazzotta un suo giocatore in mondovisione, roba mai vista prima: alla faccia del fairplay.
Del resto, spesso i rapporti con gli allenatori sono finiti male, dandosele di santa ragione sulle pagine dei giornali anziché parlando nelle stanze della società (Prandelli, Montella, Sosa, per arrivare fino a questa stagione, con Pioli che se ne va da gran signore dopo essere stato trattato da cani dalla dirigenza). E una tifoseria, quella fiorentina, imbufalita.
Una tifoseria non di rado becera e presuntuosa, di quella presunzione tipica di chi si trova a vivere in qualcosa di meraviglioso (Firenze lo è davvero ma grazie a chi ce l’ha lasciata e non a chi ci vive adesso) e pensa di trovarsi al centro del mondo mentre il mondo se ne va per conto suo in altre direzioni. Una tifoseria depressa. Ora tocca a Commisso trovare il modo di riaccendere entusiasmi sopiti da discorsi su plusvalenze e bacini di utenza in una tifoseria appassionata, devota di un amore assoluto per la propria squadra, che in diverse occasioni ha dimostrato civiltà e affetto che non trovano pari ma è, irrimediabilmente, fiorentina.
I 17 anni dei Della Valle si concludono con “zeru tituli”: una Coppa Italia con la formazione primavera e niente altro. Una finale di Coppa Italia, quella vera, persa da Genny ‘a Carogna, due semifinali di Europa League andate senza lasciare traccia, qualche risolata pesante tipo lo 0 a 5 in casa dalla Juve. I Della Valle si porteranno via come trofei qualche plastico del Nuovo Stadio e poco altro.
Adesso, hanno venduto e se ne vanno. La goccia che ha fatto traboccare il vaso a Diego&Andrea, probabilmente, è stata la contestazione davanti ai negozi di via Tornabuoni. Arriva Rocco Commisso, americano nato in Calabria, pare ricchissimo, proprietario dei New York Cosmos, che ha già tentato di entrare nel calcio italiano, senza successo, in precedenza. Pare che sia anche juventino ma ci conviene far finta di non saperlo.
Vediamo. Intanto, benvenuto e buon lavoro. Sperando che capisca di calcio, di uomini e gestione. E soprattutto di non ritrovarsi, noi Viola, a dover rimpiangere il foulard di Diego.
Franco Bonciani