Grazie Pablito
di Franco Bonciani - giovedì 10 dicembre 2020 ore 10:03
Non erano reti bellissime. Non come quella di Maradona all’Inghilterra, o come una qualsiasi di Messi, Baggio, o la punizione di Roberto Carlos. Per giunta, in quel mondiale, fino alla partita col Brasile Paolo Rossi aveva fatto pena.
Bearzot aveva lasciato a casa il capocannoniere del campionato, Roberto Pruzzo, e si era portato Rossi, che aveva finito di scontare una assurda squalifica per il calcio scommesse pochi mesi prima. Bearzot lo prendeva in giro, “hai messo su un culo che sembri una fattrice normanna” ma lo faceva giocare. Quattro anni prima in Argentina era apparso come un talento strepitoso al di là delle sue ginocchia di vetro, ora era una scommessa.
A Spagna 1982 fino alla partita con l’Argentina di Maradona sembrava una scommessa persa male, quella di Bearzot su Paolo Rossi.
Poi è arrivato il Brasile.
La squadra più bella che io ricordi, a parte il portiere e il centravanti. L’unica cosa che superasse il talento, in quella formazione fatta per nove undicesimi di fuoriclasse, era la presunzione. Andarono a sbattere contro uno che era entrato in campo chiamandosi Paolo Rossi e ne sarebbe uscito come Pablito.
Tre gol. Tre gol al Brasile. Non belli come quelli di Socrates e Falcao, ma furono tre. Brasile a casa.
E poi due contro la Polonia (ricordo quello di testa su cross di Bruno Conti, quel pallone con scritto “basta spingere”) e il primo del trionfo in finale contro la Germania. Anche lì, un tocco sotto porta (vuoi mettere il due a zero dell’urlo di Tardelli?) ma era il primo ed era di Pablito.
Per noi, la gioia di gioire insieme, a casa, in strada, nel mondo, grazie a un ragazzo di Prato che la buttava dentro.
Chi ci regala gioie non muore mai dentro di noi. Grazie Pablito.
Franco Bonciani