I piccoli addii di Giovanni Mariotti
di - mercoledì 26 marzo 2025 ore 08:00

Ci sono libri che non puoi fare a meno di portarti a letto, scriveva in un suo aforisma Walter Benjamin; libri che stazioneranno sul comodino per addolcirci il sonno e magari introdurci in piacevoli sogni.
I francesi li chiamano livres de chevet che io traduco liberamente con “ libri da tenere sul comodino ”.
E, in questo nuovo numero del mio blog, voglio raccontarvi uno di questi, I piccoli addii di Giovanni Mariotti.
Giovanni Mariotti, scrittore ottantacinquenne pietrasantino, non molto conosciuto e spesso sottovalutato è in realtà uno dei più originali scrittori italiani e questo ce lo dice Pietro Citati. Il suo libro più famoso è Storia di Matilde, una storia che corre lungo più di duecento pagine interamente scritte senza l’uso della punteggiatura, sul modello del Finnegans Wake di Joyce o del monologo finale di Molly Bloom nell’Ulisse, anche se in quello, a dire il vero, due segni di punteggiatura c’erano.
Sinceramente ne ho iniziato la lettura, ma, come mi capitò col Finnegans, dopo un po’ ho desistito perché, a me, la mancanza di punteggiatura toglie il fiato, mi crea delle spiacevoli apnee e, a dirla tutta, la capisco poco; insomma il flusso di coscienza o, se preferite stream of consciousness ( come dicono quelli che non possono fare a meno dell’inglese) non mi appassiona più di tanto e di Joyce continuo a preferire l’ Ulisse e i Dubliner’s.
Un disagio simile a quello provato col Finnegans mi capitò con La Disparition (La scomparsa) un romanzo di George Perec scritto utilizzando il lipogramma dove a scomparire era la lettera “e”. Ecco in questo caso, pur apprezzando Perec, questo libro l’ho fatto scomparire io. Gli “esercizi di stile” alla Quenau, dopo un po’, li trovo noiosi.
Diverso invece questo divertente libriccino che mi ha subito ricordato per le tematiche che affronta il Dizionario delle cose perdute di Francesco Guccini, dove si potevano incontrare la carta moschicida, il flit, le braghe corte, i pennini, la Topolino etc …
Sono libri, questi di Mariotti e Guccini, che raccontano cose e storie appartenenti al passato e quindi piacevoli da riscoprire per quelli della mia generazione, nati negli anni ’50, ma anche per i giovani che potranno curiosare nel passato dei loro padri e dei loro nonni, in una sorta di divertente viaggio a ritroso nel tempo.
Ma iniziamo quindi a raccontare il libro di Mariotti, lasciando, come al solito, la parola all’autore:
“Piccoli addii alle cose della vita” era il titolo di una rubrica estiva apparsa sul “Corriere della Sera” nel 2004; si trattava di brevi congedi da un mondo che non c’era più. Li riprendo oggi, a un’età in cui tutto è addio. Ho accorciato il titolo, aggiustato i testi e aggiunto materiali dispersi qua e là, per esempio fogli o ritagli conservati da mia moglie in una scatola delle scarpe. Se la prima parte è legata al mondo isolato in cui sono cresciuto, la seconda è dedicata ai primi passi fuori da quel mondo; il titolo alla Balzac, “Scene di un debutto in società”, comporta, forse, una sfumatura ironica. Ringrazio l’amica di penne Rosita Copioli (mai incontrata, ci siamo solo scambiati e-mail) che mi ha persuaso a frugare tra i miei rimasugli sostenendo che ne valeva la pena.
I quadretti che ci propone Mariotti costruiscono un ritratto di una società in estinzione, micro tasselli di un mondo pian piano scomparso, il mondo provinciale della Lucchesia e della Versilia.
Scrive, a questo proposito Matteo Moca (Minima & Moralia):
Queste pagine raccolgono l’eredità sommersa della forma letteraria dell’elzeviro (e quanti grandi elzeviristi ci sono stati nel corso del Novecento italiano, uno su tutti, Tommaso Landolfi) e si impongono come forse ultimo canto di un genere oggi molto poco praticato, creando in ogni pagina dei «brevi congedi da un mondo che non c’era più», come scrive l’autore, e di cui oggi, a maggior ragione, non rimane forse alcuna traccia.
In Piccoli addii, diviso in due parti Piccoli addii alle cose della vita e Scene di un debutto in società, scorrono tutta una serie di oggetti e atteggiamenti che sembrano richiamare le «buone cose di pessimo gusto» descritte da Gozzano e da tutta una letteratura che ama i piccoli oggetti che diventano emblemi di un ambiente o una parte della società
E così, tra le molte altre cose, Mariotti, descrive la rivoluzione delle calze a reta, nate in America negli anni Venti e desiderate in poco tempo da tutte le donne. Ma erano veramente invisibili?
Ecco cosa scrive, a questo proposito Mariotti:
Invisibili?
Beh, quasi; per il momento l’invisibilità assoluta, privilegio delle cose spirituali, restava inattingibile, preclusa.
Comportavano una riga, cioè una cucitura; la tecnologia tessile non era ancora in grado di farne a meno.
Per l’osservatore attento delle gambe femminili la riga costituiva una certificazione: se c’era, c’era anche la calza; altrimenti non c’era.
Vero, in linea di principio, ma, sopraggiunta la guerra, procurarsi quel simbolo di raffinatezza diventò difficoltoso e ci furono donne che ebbero l’idea di usare un pennellino per dipingere, con applicazione da calligrafe, la cucitura della calza sulla gamba nuda.
E di un altro oggetto, ora quasi del tutto scomparso, il Salvadanaio, ecco cosa scrive:
Mio nonno mi aveva regalato un salvadanaio di terracotta a forma di orcio e prima di andare a letto lo scuotevo avvicinandolo all’orecchio. Panciuto come un piccolo Buddha, mi rassicurava con la sua petulanza. Cominciò così una relazione destinata a esercitare sulla mia vita e i miei alterni umori un’influenza non trascurabile: quella col denaro.
E ancora, sempre nella prima parte, la descrizione del camino:
La fuliggine che anneriva le pareti delle cucine testimoniava un tratto della cultura paesana: l’imperizia nel ramo tiraggio dei camini. A casa nostra – ma anche nelle altre – bastava accendere il fuoco perché subito la stanza si riempisse di fumo: per dargli sfogo si era costretti ad aprire a bocca di cane porte e finestre alle nostre spalle (…) da dietro mi arrivavano spifferi gelidi, pugnali di ghiaccio che trafiggevano la schiena.
Nella seconda parte, quella del debutto in società, un racconto in cui, da ex tabagista, mi sono pienamente identificato e che riguarda le sigarette sfuse:
Uno di questi giorni mi piacerebbe trovare in fondo alle tasche dei pantaloni, un po’ di tabacco; mi ricorderebbe l’epoca in cui era possibile acquistare dai tabaccai le sigarette sciolte.
Entravo in un bar, chiedevo tre Alfa, tre Nazionali, tre Esportazione; qualche volta cinque. Mediocremente confezionati, i piccoli cilindri senza filtro erano destinati a disfarsi almeno in parte in fondo alle tasche lasciando un residuo di tabacco pari a un cucchiaino di tè. Poi un giorno un tabaccaio mi disse che acquistare sigarette sciolte non era più possibile: o il pacchetto o niente. Seppi così che l’Italia stava diventando ricca.
E infine, sempre riguardo al debutto in società, le pagine dedicate all’iniziazione sessuale che, nella maggior parte dei casi, direi al 99,9% consisteva nell’andar a prostitute. Poi c’è che dice di non esserci mai andato, ma non credetegli perché mente spudoratamente.
Dopo aver scartato quelle di via XX settembre perché troppo belle, il Nostro cerca qualcosa di più abbordabile per le sue tasche:
Se ne avessi incontrata una dall’aria dimessa, spaurita, forse avrei trovato il coraggio di abbordarla; o almeno così credevo. Una sera pensai di averla incontrata.
Se ne stava un po’ in ombra, discosta dalle altre; avevo appena fatto un passo nella sua direzione che già mi interpellava: « Andiamo, maschione?»
Mi allontanai perplesso. Inesperto com’ero non riuscivo a sciogliere l’enigma di quel timbro di voce sgradevolmente virile.
Protagonista assoluto di queste storie, intrise dalla malinconica consapevolezza della perdita, eppure leggere e divertenti è il tempo che dà un senso alle cose, agli oggetti che riemergono dalla memoria, un significato che uno sguardo oggettivo e lontano non coglierebbe: la carta assorbente, gli specchi, le fotografie … oggetti configurabili in una topografia intima e unica depositaria degli affetti e generatrice di sentimenti.
Concludo, riportando una riflessione di Lorenzo Gafforini (Mgma Magazine):
Nelle ultime pagine del volume il lirismo di Mariotti raggiunge vette notevoli e anche questa volta è capace di donarci un ritratto del tutto veritiero di un’epoca e di un giovane tanto timido quanto determinato. Piccoli addii è una storia universale. Mariotti ha avuto la capacità e la sensibilità di riportarla, ma è come se descrivesse un destino comune di milioni di persone di ieri e oggi