Dazi amari per la birra artigianale
di Davide Cappannari - martedì 08 aprile 2025 ore 08:00

Dazi e destabilizzazione: quale impatto avrà sulla birra la guerra valutaria globale scatenata da Trump?
C’è un’espressione che si è fatta strada negli ultimi anni tra economisti e analisti geopolitici: "terza guerra mondiale a pezzi". Non si combatte con le armi convenzionali, ma attraverso crisi sistemiche, logiche protezioniste, embargo e guerre valutarie. La nuova stagione di dazi commerciali imposta dagli Stati Uniti sotto l’amministrazione Trump potrebbe rappresentare uno dei capitoli più significativi di questa guerra silenziosa, ma dagli effetti potenzialmente devastanti per l’economia globale.
L’Europa, e in particolare l’Italia, si trovano oggi al centro di una tensione commerciale che rischia di minare le fondamenta stesse del proprio sistema produttivo, fortemente orientato all’export. Con l’introduzione di un dazio generalizzato del 20% su tutte le merci europee esportate verso gli USA, si profila un impatto asimmetrico e durissimo per un Paese come l’Italia, che esporta negli Stati Uniti beni per un valore di circa 67 miliardi di euro all’anno, a fronte di importazioni per soli 25 miliardi. Le stime parlano di oltre 100.000 aziende italiane direttamente coinvolte, con almeno un quinto delle imprese esportatrici e degli addetti a rischio. L’effetto non sarà solo numerico, ma qualitativo: a subire i contraccolpi maggiori saranno i settori a più alto valore aggiunto, quelli capaci di generare occupazione qualificata, indotto e reputazione internazionale.
Nel mirino dei dazi americani è finito, prevedibilmente, il comparto agroalimentare, uno dei fiori all’occhiello del made in Italy. Federalimentare stima un calo del 10% nei fatturati e del 30% nei volumi dell’export verso gli USA, con una perdita potenziale tra i 700 e gli 800 milioni di euro. I prodotti più colpiti sono il vino, l’olio extravergine d’oliva, la pasta, i formaggi e le salse pronte. Tuttavia, l’impatto della guerra commerciale non si limita alle eccellenze più note. Esistono interi settori di nicchia, ma strategici per la trasformazione agroindustriale, che rischiano di essere travolti da effetti indiretti altrettanto gravi. Tra questi, il comparto della birra artigianale.
Il mondo della birra artigianale italiana è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi due decenni, trasformando un settore prima marginale in un laboratorio di sperimentazione, cultura gastronomica e innovazione produttiva. Le birre luppolate in stile americano – come APA, IPA, DIPA, NEIPA – rappresentano oggi una fetta importante della produzione craft, sia in termini di quantità che di identità stilistica. E proprio su questo segmento si abbattono gli effetti collaterali dei dazi americani.
Uno degli elementi chiave della birra luppolata è il luppolo statunitense, in particolare quello coltivato nella Yakima Valley, nello Stato di Washington. Qui ha sede Yakima Chief Hops, uno dei produttori leader mondiali, noto per varietà come Citra, Mosaic, Simcoe, Amarillo e per l’innovativa linea Cryo Hops®, ottenuta tramite criogenia per concentrare al massimo oli essenziali e resine. Questi luppoli, indispensabili per conferire aroma e pulizia ai moderni stili americani, sono oggi una componente insostituibile della produzione italiana di qualità. Se l’imposizione dei dazi dovesse estendersi o se i flussi logistici transatlantici dovessero subire interruzioni, i birrifici italiani si troverebbero di fronte a due scenari: una drastica impennata dei costi delle materie prime o la necessità di riformulare ricette e stili con luppoli alternativi, spesso europei, che però non replicano la complessità aromatica e la resa dei corrispettivi americani.
Le conseguenze sarebbero molteplici. Non solo verrebbero colpiti i margini economici delle imprese, soprattutto quelle più piccole, ma si rischierebbe anche un abbassamento qualitativo del prodotto finale e un indebolimento della reputazione acquisita negli ultimi anni dalla birra artigianale italiana sui mercati internazionali. In particolare, le birre destinate all’export – proprio quelle in stile americano, confezionate spesso in lattina per meglio conservare la freschezza del luppolo – potrebbero diventare meno competitive per un ulteriore motivo: l’aumento del costo dell’alluminio.
Trump ha infatti imposto un dazio del 25% su tutte le birre in lattina importate e sulle lattine vuote in alluminio. Questo colpisce direttamente le birre artigianali italiane che si sono spostate sempre più verso il packaging in lattina, ideale per birre altamente luppolate grazie alla totale protezione da luce e ossigeno. Il costo delle lattine, già in tensione per effetto della crisi delle materie prime e dell’energia, potrebbe ora diventare insostenibile per molti microbirrifici, rendendo impraticabile l’export verso gli USA o costringendo a un ripiego sul vetro, con tutte le problematiche connesse alla conservazione del profilo aromatico delle birre.
Se sommiamo l’effetto combinato di questi elementi – dazi sui beni finiti, dazi sulle materie prime, complicazioni logistiche, aumento dei costi industriali – il quadro che emerge è quello di un settore giovane ma fragile, posto davanti a una sfida per la sopravvivenza in un contesto globale che si fa sempre più ostile e imprevedibile.
La guerra commerciale, per molti, resta un tema da bollettino economico. Ma se si guarda con attenzione, si comprende che essa agisce come un sismografo geopolitico, rivelando faglie profonde nel sistema delle relazioni internazionali. Una birra ambrata con sentori di frutta tropicale non è solo il frutto di un’intuizione creativa: è il prodotto finale di una filiera intercontinentale, di un equilibrio fragile tra territori, economie, culture. Quando quell’equilibrio viene spezzato da logiche sovraniste e miopi, ciò che va in crisi non è solo un business, ma un pezzo del mondo che avevamo imparato ad apprezzare.
Davide Cappannari