Della gentilezza di Carofiglio
di Gianni Micheli - giovedì 10 aprile 2025 ore 07:00

Ci sono libri di cui vorresti tenere a mente interi periodi. Non sono tanti, purtroppo. Non sono neanche pochi, per fortuna. E ognuno, certamente, ha i suoi, da tenere in bella vista in libreria, in quel posto privilegiato che ognuno ben conosce, dove l’occhio batte anche per caso e la memoria resta viva per una scelta.
Tra quelli recenti che più ho sottolineato ve ne è uno di cui non posso non parlare. Non posso consentirmi di non spargere la voce. È il volume “Della gentilezza e del coraggio” di Gianrico Carofiglio (Feltrinelli). Un “Breviario di politica e altre cose” che è in tutto un breviario di cittadinanza in cui la gentilezza diviene “metodo per affrontare e risolvere i conflitti e strumento chiave per produrre senso nelle relazioni umane”, il coraggio le si pone accanto “come essenziale virtù civile e veicolo del cambiamento”, mentre “la capacità di porre e di porsi domande – la capacità di dubitare, insomma” assume il ruolo di “nucleo del pensiero critico e dunque della cittadinanza attiva”. Basterebbe questo ed applicarlo per abitare già in un mondo migliore.
Ma non solo. È anche un breviario del conflitto e quanto possa servire oggi lo sa ogni lettore di quotidiano o osservatore dei tg. Perché il conflitto esiste e non è procrastinabile. “La questione fondamentale infatti non è capire se il conflitto ci piaccia o meno. La questione fondamentale è capire che il mondo funziona attraverso il conflitto, ci piaccia o meno” scrive Carofliglio. E la gentilezza entra nel conflitto come un osservatore attento, capace di limitare la rumorosità e l’invadenza dell’ego. Anche se, purtroppo, come rilevato dagli psicologi David Dunning e Justin Kruger, “più si è incompetenti, più si è convinti di non esserlo”. È l’“effetto Dunning-Kruger”. Per gli incompetenti giungere a conclusioni erronee e compiere scelte infelici è normale: è l’incompetenza stessa a privarli della capacità di rendersene conto.
Peccato. Troppo esigente è la competenza: richiede percezione dei limiti, approfondimento, studio. Tutte faccende che mal si conciliano con la fretta, imposta nell’oggi ad ogni essere pensante su questa terra, che sia bambino o adulto poco importa. E dall’incompetenza il passo verso l’autoritarismo è breve: Gustave Le Bon, in “Psicologia delle folle” (1895), sosteneva che “le folle fossero sedotte dagli oratori minacciosi, che abusano di dichiarazioni violente, che affermano e ripetono ossessivamente senza mai tentare di dimostrare alcunché con il ragionamento. […] sintassi frammentaria e sconnessa, vocabolario minimo, ripetizione continua delle stesse parole e delle stesse espressioni. La lingua autoritaria è una lingua di estrema povertà”. Una lingua che disdegna il punto interrogativo perché “l’arte del dubitare domandando è lo strumento fondamentale del pensiero critico e civile per contrastare tutte le forme e le pratiche di esercizio opaco, quando non deliberatamente occulto, del potere”.
Devo fermarmi, lo capisco, ma non posso abbandonare quest’omaggio e quest’invito alla lettura di un testo prezioso senza accennare alla parte corposa e illuminante dedicata al discorso manipolatorio. Citerò, a mo’ d’esempio, la cosiddetta fallacia del pistolero. “Consiste nello scegliere una casuale concentrazione di un certo dato per sostenere arbitrariamente una tesi. Il nome viene dalla storiella del pistolero che sparava colpi a caso contro una staccionata, per poi disegnare un bersaglio attorno alla maggior concentrazione di fori di proiettile e sostenere così la sua reputazione di grande tiratore”. Certamente, ad ognuno di noi, ricorda qualcuno. Non qualcuno per tutti s’intende. E questo è certamente un danno per tutti.
Pur dubitando, com’è giusto, leggetelo e fatelo leggere: non c’è nient’altro da fare.
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Gianni Micheli