Un tavolo di pace è ancora possibile
di Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi - martedì 09 febbraio 2016 ore 22:39
Roma crocevia del futuro assetto politico della sponda Sud del Mediterraneo. Il viaggio del Segretario di Stato americano John Kerry nella città eterna è stato denso di contenuti, al centro dei colloqui questioni delicate come Libia e Siria, a sottolineare l'ultimo atto o tentativo di politica internazionale dell'era Obama.
"E lui ora può fare ciò che vuole" libero da vincoli di mandato, l'opinione è di Isaac Herzog, leader del centrosinistra israeliano, rilasciata durante la sua visita romana. Herzog ha presentato a Kerry, in un incontro non ufficiale, un piano strutturato per la ripresa del percorso di pace tra palestinesi ed israeliani che prevede il disimpegno militare dalla West Bank, la fine di fatto dell'occupazione: "separazione" e organizzazione di una conferenza regionale sulla sicurezza in cooperazione con i paesi arabi. "Israeliani vengono uccisi nelle strade e nel mondo vediamo sorgere iniziative surreali e boicottaggi. Il ritiro - dalla West Bank - è il cammino, l'unico, per la soluzione di due Stati."
Il leader laburista, sconfitto nelle passate elezioni da Netanyahu, non è ottimista, non elude il problema del governo di destra che governa il suo paese, a differenza del falco della politica israeliana è consapevole di avere un forte ascendente e un canale privilegiato nei rapporti con Washington. Dove gode di quella amicizia che Netanyahu letteralmente ha portato ai minimi termini, i rapporti tra il leader della Knesset e il presidente degli USA sono pessimi, non c'è fiducia tra i due storici alleati tanto da arrivare, nei passati mesi, ad aperte accuse di spionaggio.
Quanto Herzog sia riuscito a convincere il capo della diplomazia della prima potenza mondiale lo capiremo a breve. Intanto c'è tornata alla memoria una vecchia intervista a Khaled abu Awwad, palestinese e pacifista: "Noi e gli israeliani viviamo nel luogo più bello al mondo, eppure non c'è normalità e umanità nel nostro agire." Khaled ha trascorso un lungo periodo di detenzione nelle carceri israeliane per motivi politici, oggi è considerato uno delle 500 personalità arabe più influenti e in Palestina è impegnato nel promuovere la via della non violenza e del dialogo: "la scelta delle armi è sbagliata, non è con la violenza, con il terrorismo dei kamikaze che raggiungeremo la libertà.
C'è un cammino da fare insieme agli israeliani ed è quello del dialogo, dobbiamo sederci e chiarirci una volta per tutte: Qual'è il vostro problema? Qual'è il nostro problema? Ebrei, cristiani e musulmani siamo su questa terra per costruire e non per distruggere ed uccidere. Pace è una bella parola solo se ha un valore è un contenuto." Forse hanno ragione Herzog e Khaled una possibilità per mettersi al tavolo, ancora una volta, è possibile. Il problema, a questo punto, è chi invitare.
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Alfredo De Girolamo e Enrico Catassi