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SORRIDENDO — il Blog di Nicola Belcari

Nicola Belcari

Ex prof. di Lettere e di Storia dell’arte, ex bibliotecario; ex giovane, ex sano come un pesce; dilettante di pittura e composizione artistica, giocatore di dama, con la passione per gli scacchi; amante della parola scritta

Ottimismo

di Nicola Belcari - martedì 23 febbraio 2021 ore 09:04

L’esempio più riuscito ed efficace escogitato per illustrare l’annosa questione del contrapporsi tra l’ottimismo e il pessimismo è quello del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto che è tanto brillante quanto impreciso. Fin lì i due opposti caratteri vedono la stessa cosa che esprimono con parole diverse e che certo è indicativa di una prospettiva, di un’attenzione privilegiata a ciò che si considera positivo o negativo. In realtà l’ottimista vedrà quel bicchiere leggermente più pieno che vuoto e all’altro accadrà il contrario. E ciò dimostra solo che essere ottimisti o pessimisti è comunque sbagliato poiché nessuno dei due è ciò che dovrebbe essere e cioè realista.

Tra parentesi: quel bicchiere in realtà è quasi vuoto e nessuno lo vede per come è a causa dell’ottimismo ineliminabile dovuto alla Speranza (… e dipende molto dal tipo di liquido contenuto, in specie se alcolico, e se è stato bevuto, in quel caso si possono vedere due bicchieri).
Non possiamo addentrarci nella questione filosofica, sarebbe elevarsi a un’altezza che non è alla nostra portata, tuttavia: quando un genio del pensiero scientifico ha sostenuto che il nostro è il migliore dei mondi possibili ciò che voleva affermare non è quel che abbiamo capito (anche se la tesi resta opinabile).
Ottimismo e pessimismo comunemente intesi infatti sono stati d’animo volgari e banali, come sostiene Gramsci, che inoltre riprende e fa suo il motto più profondo in materia che indica come si dovrebbero alfine applicare: “pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà”. I due atteggiamenti opposti infatti consistono nel fare previsioni sul futuro. Nessun eroe, nessuna divinità del mito, nessun santo si è mai chiesto come agire secondo l’esito ipotizzato ma hanno agito secondo la loro natura, secondo ciò che ritenevano giusto.
Oggi assistiamo spesso all’elogio sperticato dell’ottimismo. Sembriamo non ricordare che tale disposizione d’animo del capo, re o imperatore, che sia, circa le sorti di una guerra, ha provocato morti e sofferenze, che pure la fiducia sulla bontà naturale dell’uomo ha prodotto disastri nella costituzione di nuove società: sono le catastrofi dell’ottimismo (senza per questo svalutare la forza dell’utopia che è positiva e che non può accontentarsi dell’homo homini lupus).
Due esempi curiosi. Un tale si lamenta perché nessuno sarà dispiaciuto della sua morte: inguaribile ottimismo, non pensa a chi ne gioirà. Molti, poco originali, esortano a godere e cogliere le occasioni (come se fosse facile!), anche con le parole fraintese dei poeti (il solito carpe diem), la loro massima è: si vive una volta soltanto, la vita è una sola. Ma ne siamo sicuri? Non c’è un certo ottimismo? Mettiamo da parte che per alcune religioni o concezioni filosofiche più vite sono una punizione, ma dicevamo, siamo sicuri che la nostra sia sempre una vita vissuta? Vera vita? Magari non abbiamo vissuto neppure quell’unica vita che ci spettava.
Questa di cui trattiamo è un’annosa diatriba e bisogna aggiungere un po’ sopravvalutata perché non sempre la differenza tra le due alternative è così decisiva e ci spieghiamo con un altro esempio che ha il sapore di un aforisma. C’è la donna che si concede al corteggiatore confidando che andrà bene e c’è invece la donna che si concede temendo che andrà a finire male: la prima è ottimista, la seconda è pessimista.
Non sto ad appuntare la mia critica al pensiero negativo che è già molto condannato, com’è giusto, ma anche con qualche esagerazione, come quando si dànno patenti di jettatori alle persone, con esecrabile superstizione.
Come si farebbe a dare valore al pensiero positivo se non si conoscesse quello negativo? Il negativo è l’ombra di qualcosa. Come le rose hanno le spine.

Nicola Belcari

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