Canto minore
di Marco Celati - martedì 30 gennaio 2018 ore 11:35
È evocativa la musica. Forse l’unica valida alternativa al silenzio. Ascolto su Spotify una compilation che mi arriva a caso. A caso come viene la vita. Con un ritmo, un tempo, una nostalgia. Un’aria malinconica, come certe brezze che certi giorni soffiano dal mare. Anche per noi più dell’interno. Alla Bellaria. Forse per farcelo rimpiangere, il mare. Scrivo per me. Con le parole si può dire tutto e il contrario di tutto. Che poi sarebbe niente. Ma forse non è così a caso che vengono le cose. In quel programma, in rete, conoscono i miei gusti, perché un computer elabora le mie scelte e mi serve: Capossela, Cammariere, De Gregori, De André, Guccini, Paolo Conte, Carmen Consoli, Cesária Évora, Birdy, Ivano Fossati, Pino Daniele, Enzo Avitabile, Mannarino. Musica che mi somiglia. C’è dunque una predisposizione nelle cose. Così nel cuore e nelle macchine che pure ne sono sprovviste, ma abbiamo creato noi, per nostro uso e consumo. Poi ogni tanto, ogni spesso, la pubblicità ci richiama alla realtà delle scelte e del vivere.
Il gatto è inquieto stamani, sbatte la sua mezza coda sul tavolo, punta i piccioni sul cornicione del palazzo dirimpetto. Miagola storto, di frustrazione, per i volatili che si muovono indisturbati e, indifferenti, se ne volano via. Forse si annoia come me, reagisce alla vita d’istinto. Mangia, beve, piscia, caca, dorme, si sveglia, si lava a lungo. Non sempre e necessariamente in quest’ordine. È stato un regalo per me dai figli. In qualche modo lo sono stato anch’io per i miei genitori. Che talvolta avranno avuto anche da ridirci su e forse non del tutto a torto. Io ho fatto peggio con la bestia. L’ho castrato, rinchiuso in casa, privato di una vita di relazioni, di conoscenze e di avventure. Per rivalsa ha danneggiato il divano e un po’ di mobilia, che non sono nemmeno roba mia. Non c’è nulla di mio. Con i figli, spero, non sia stato così. A parte gli errori e questa vita bislacca.
Tempo fa scrivevo poesie. Da giovane chi non l’ha fatto? Per la verità il vizio è durato ben oltre la gioventù. Me ne vergognavo, non era cosa da uomini. I maschi si battono, mostrano i muscoli e gonfiano il petto. A calcio comunque non ero così male, a parte che non ci vedevo e passare la palla mi disturbava. Andavo discretamente anche nella corsa e pure nel nuoto, dopo aver imparato a nuotare agli scogli, s’intende, che se non nuotavi ti tranciavi i piedi. Le poesie sarebbero cose da lasciare nel cassetto da cui provengono che se no uno appena scrive gli sembra di essere un poeta o uno scrittore e per di più incompreso, che sono la peggio genia. E, già che sono a fare outing, confesso che un po’ mi riusciva pure disegnare, un po’ meno dipingere. Ma, tornando alla poesia, ho pubblicato e vinto anche qualcosa. Poi un critico, cattivo e giusto come i critici devono essere, se no che critici sono, mi disse che non era il caso. Che piuttosto era meglio continuare a leggere che già tanti scrivevano. Me lo disse con garbo e durezza. Era un uomo di lettere e gli detti retta. Se non si dà retta agli uomini di lettere per queste cose a che servono le lettere? Ho letto male e con disordine, i miei libri hanno rincorso la mia vita inquieta e i miei continui traslochi, le mie diaspore. Le poesie che scrivevo e ho continuato a scrivere nella clandestinità, a parte qualcuna più breve e fulminante, erano prosastiche e volutamente lunghe. Dopo un inizio evocato, seguivano con fatica il loro svolgimento alla ricerca di un bel finale, una fine migliore. Le parole non mi vengono subito, neanche in bocca, quando parlo. Bisogna che ci pensi e che non piova. Pensare che la pioggia è così evocativa di pensieri e sentimenti! Ma sono tempi aridi. Insomma le poesie erano lunghe. Troppo lunghe e chi sei?! Perché non provi con la prosa, piuttosto? Dopo un po’ e non senza una certa insofferenza, ho provato con la prosa. I racconti mi vengono troppo brevi, forse svogliati. Cercano subito la loro fine. È il mondo che è frammentario e popolato di esperienze atomizzate, non concede più spazio al romanzo, ho detto per giustificarmi di fronte alle critiche, come sempre inevitabili. Troppo corti, è stata la risposta, prova con la poesia. È difficile contentare il pubblico e la critica. Trovare la giusta lunghezza d’onda dei sentimenti e del tempo. Che poi la gente ha da fare e non certo il tempo di leggere tutte queste cazzate.
Non ho mai appuntato niente lungo il correre degli anni; caricare legna sul mulo e via. Confidare nell’oblio. Oggi no, mi segno le parole delle canzoni o i pensieri che mi passano per la testa, prima che me li scordi. Ciò che avviene subito, come per i sogni al risveglio. Come se valessero chissà che cosa. Ma non importa: un pensiero è un pensiero. Come una tristezza, un ricordo e il ricordo di un amore: amore tradito, amore che a volte non vale la pena. Come una canzone che ascolti o canticchi a orecchio, confondendo musica e parole. Servono per passare il tempo e a volte per sentire o spiegarsi qualcosa. Come le cose che si scrivono senza senso, che poco senso ha la vita. Ma un senso c’è sempre alla fine. Un tempo perduto, come un ritmo in battere e in levare. Come “questo giorno or piovorno ora acceso”. Come un canto minore.
Pontedera, 18 Ottobre 2017
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Il verso virgolettato è da “Arsenio” di Eugenio Montale, il disegno è di Bruno Cavallini.
Marco Celati