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RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Penso io

di Marco Celati - martedì 21 giugno 2016 ore 12:46

Ci penso io! Me ne occupo io. Quante volte lo sentiamo dire con prosopopea o in buona fede da autorizzati o improvvisati fac totum della città. Berlusconi, con faccia tosta, lo disse qualche anno fa, addirittura per la democrazia e la libertà. Pronunciò questa frase alla Confindustria brianzola, ovviamente in dialetto milanese, che in questo caso credo coincida con il genovese: forse scorre sull'asse industriale Milano - Genova: "Ghe pensi mi!". E il senso era quello: lasciate fare a me. Del resto di sé disse che era un Presidente operaio. Poi sappiamo com'è andata. In effetti ci avrà pure pensato, ma il nostro Paese non è stato migliore. Né è andata meglio a imprese e operai. Avrà pensato a sé o a noi?!

Pontedera non è Arcore, non lo sarà mai. Al di là delle idee politiche di ciascuno, noi abbiamo una specie di antidoto per tutto questo: il disincanto. Un vaccino che forse abbiamo ricavato dalle lezioni della storia antica, dopo essere stati invasi a turno, fin dalle guerre medievali, da pisani e fiorentini. Questi ultimi alla fine, ad opera del perfido Marchese di Marigliano, nel 1554 ci buttarono giù le mura, per via di una nostra incauta alleanza politica con la famiglia Strozzi, e, tutto sommato, fu la nostra fortuna, il nostro rinascimento. Crescemmo come città aperta ai commerci, ai mercati e alle industrie. Ovviamente tutto è relativo, ma insomma, ci siamo dati da fare. E in epoca più recente abbiamo trovato una formula per il nostro scettico disincanto, un modo di dire che abbiamo ricavato dall'intercalare e dai proponimenti di una persona perbene che, forse proprio per questo, è tornato giusto per descrivere e dire come siamo e come la pensiamo, noi pontederesi, disincantati, entusiasti di niente e operosi di tutto. E poi siamo in Toscana, terra di gente brusca e patria dello sfottò.

A Pontedera nell'attuale Piazza della Concordia, dove ora c'è il circolo socialista, vicino a dov'era un tempo l'Orto del Rosati, tristemente famoso per i bombardamenti e l'eccidio dell'ultima guerra mondiale, c'era la falegnameria del Sig. Belli, un uomo rosso di capelli e democristiano di fede, gran lavoratore. Il Belli per tirare avanti l'azienda e la famiglia usava appuntarsi i lavori che gli venivano richiesti o che lui stesso si procurava presso i clienti, in genere concittadini. E ne prendeva molti.

"Belli ho questa sedia da riparare"

"Ci penso io" diceva, registrando la consegna.

"Belli, l'armadio di camera ha un'anta rotta"

"Ci penso io" e segnava sul taccuino.

"Belli, me lo fai il tavolo di sala? Queste sono le misure"

"Ci penso io"

A tutti, immancabilmente, ripeteva così. E così quello divenne il suo soprannome: "Penso io". Soprannome che si è tramandato: la falegnameria non esiste più, ma ci sono stati i figli e i nipoti fulvi di "Penso io".

Bisogna sapere, però, che il nostro bravo falegname di lavoro faceva un po' di tutto: anche e sopratutto le bare o, come da noi vengono più allegramente chiamate, le casse da morto. E nell'elenco dei lavori, nello stabilire le priorità, a queste per forza doveva dare urgenza. La morte porta fatalmente a compimento la vita e, come il Natale, quando arriva, arriva. Ed è un'incombenza certo non rinviabile. Così tutti gli altri impegni di lavoro, restavano più indietro e venivano rimandati dal Belli, detto "Penso io", più avanti nel tempo. Ed è per questo che a Pontedera, città operosa, di ruvida simpatia e disarmante ironia, quando si sente qualcuno dire, magari con un po' di sopracciò: "Ci penso io" gli si risponde: "Penso io, fa le casse da morto! "

Pontedera, 16 maggio 2015

Marco Celati

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