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giovedì 14 novembre 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Passanti

di Marco Celati - mercoledì 23 novembre 2022 ore 08:00

In principio fu Charles Baudelaire, letterato di Francia, che nel 1855 scrisse “À une passante”. La poesia parla di una donna intravista per strada. La strada è affollata, assordante, la donna è descritta come una bellezza dolente e fuggitiva. Baudelaire si chiede: “ti rivedrò solo nell’eternità? / Altrove, ben lontano da qua! Troppo tardi! Forse mai! / Perché ignoro dove fuggi, e dove vado non sai, / tu che avrei amato, tu che l’hai saputo!”. Poi venne Antoine Pol, artigliere della prima guerra mondiale, minatore, sindacalista e poeta che, ispirato da Baudelaire, nel 1911 scrive “Les passantes”: “Je veux dédier ce poème / A toutes les femmes qu'on aime / Pendant quelques instants secrets / A celles qu'on connaît à peine / Qu'un destin différent entraîne / Et qu'on ne retrouve jamais”. Georges Brassens, chansonnier, artista esistenzialista e anarchico, s’innamorò di quella poesia, scoperta per caso nel 1943 su una bancarella di Parigi, occupata dai nazisti e, molti anni più tardi, la mise in musica con il consenso di Pol. Era il 1972, Brassens e Pol dovevano incontrarsi, ma, poco prima della data fissata, Pol, ormai ottantacinquenne, morì. Non solo l’amore è fuggevole, la vita stessa lo è. Pol, poeta sconosciuto, non conobbe la fama che la canzone di Brassens -un capolavoro- fece acquisire alla sua poesia.

Poi fu Fabrizio De André a reinterpretare con la musica di Brassens “Les Passantes”, riadattando la poesia di Pol. “Io dedico questa canzone / ad ogni donna pensata come amore / in un attimo di libertà”. Ancora diverso dal testo originale è il proseguo “a quella conosciuta appena / non c'era tempo e valeva la pena / di perderci un secolo in più”. E intenso è il passaggio “Immagini care per qualche istante / sarete presto una folla distante”. Desideri fugaci, attimi non colti: resta il rimpianto dei baci che non si è osato dare, delle occasioni lasciate ad aspettare, quando la solitudine diventa abitudine. I fantasmi dei ricordi diventano una folla distante, popolano la solitudine. È suggestiva e forse più bella l’espressione “peuplant sa solitude” che si ritrova nel testo di Pol e nella canzone di Brassens. Solitudini popolate, sole moltitudini sono ossimori che mi fanno venire in mente Pessoa e somigliano molto a come si vive.

Anche Jehro, un cantautore francese, che si esprime in lingue diverse, ha musicato con un ritmo più incalzante Les Passantes e in inglese, dove “istant” fa rima con “distant” e “when” assona con “them”, riporta la frase “you people your solitude”. Che riscatta il titolo, tradotto con “The Passers-by”, che non si può sentire. Anche se più canzone e meno “chanson”, è la mia versione preferita: malinconica, non melensa e vagamente reggae. Jehro è il nome d’arte di Jérôme Cotta, cantautore francese nato a Marsiglia, in Belle de Mai. A Pontedera c’era un quartiere popolare, chiamato Bella di Mai. Lo chiamarono così, con una variante italiana che esprimeva lontananza, impossibilità, rimpianto, gli esuli tornati da Marsiglia. Oggi quel quartiere è scomparso, è una memoria urbana che va dimenticandosi. Tout s’en va.

La versione di Jehro è diventata anche una clip di “Shame”, un film del 2011 di Steve McQueen: il regista inglese vivente, non lo scomparso attore americano. “The Passers-by” fa da sottofondo musicale alla scena della metro in cui Brandon, il protagonista, incrocia lo sguardo ed il sorriso di una giovane passeggera, le sfiora la mano, la segue ad una fermata e la perde tra la folla. Sembra fatta apposta per la canzone. Il film, morboso e intrigante, fu presentato alla Mostra del Cinema di Venezia ottenendo un generale apprezzamento della critica. Al protagonista, Michael Fassbender, fu attribuita la coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile. A me più di tutto piace Sissy, la sorella di Brandon, l’attrice Carey Mulligan, che canta “New York, New York” e ne offre una versione lenta e sofferente. Un’interpretazione intimista, sorprendente e commovente. Priva della boria della “città che non dorme”, dell’ansia da “top of the list” e carica di una malinconica, struggente, disperata vitalità.

Ovviamente ogni testo, anche il più bello, va contestualizzato. Pur essendo suggestivo rivolgersi “a quelle che sono già prese”, come fanno Brassens e De André, oggi l’espressione appare un po’ “forte”. Maschile. Balli? No, sono presa, rispondevano le ragazze già “impegnate”, quelle che “non ci stavano” o di ballare non avevano voglia, magari non con te, alla Discoteca della Casa del Popolo dove non sono mai andato, ma il Mago, un amico, mi raccontava. Il testo inglese, più recente, dice “to women already bespoken”, le donne già su misura, che però mi pare peggio. Molti altri hanno interpretato “Les passantes”, perfino la rock star Iggy Pop con voce profonda e pessimo francese. Léo Ferré, cantautore anarchico monegasco, dal canto suo, aveva musicato “À une passante” di Baudelaire.

Ciò che passa ci attrae, spesso più di ciò che resta, perché siamo dannatamente romantici, perché siamo sbagliati e maledetti, discendenti inconsapevoli e incolti di Baudelaire. Accidenti a lui, alla teoria dei fiori non colti, che fossero del male o del bene. Quanti malestri sulla rive gauche! Per la verità, per quanto mi riguarda che non frega a nessuno, mi sento più supponente e maldestro seguace di Leopardi e Montale. Ma forse ci attrae ciò che passa, ci attraggono le attese fuggenti, perché il presente non basta a nessuno. Tendiamo a renderlo eterno, ma non basta a nessuno. E allora è quello sguardo incrociato, quell’immagine alla finestra, la stessa luce che si accende la sera e si spegne a darci il senso di ciò che è e che non è. Di ciò che avrebbe potuto essere. Le occasioni sprecate, lo scialo dell’esistenza sono la colpevole inerzia di vivere. E ciò non offenda i nostri cari, le persone che ci amano, che amiamo o abbiamo amato. Non è far loro torto, perché così credo sia la vita, così siamo fatti, chi più, chi meno, tutti, ognuno di noi. Della vita siamo passanti e la vita stessa è un passaggio e tutto passa: le persone, gli affetti, le cose. E sa dio se non avessimo voluto fermarci, rubare un attimo di amore e d’infinito. E ancora e ancora. E ancora fare o non fare più niente. E forse tutto questo, o poco che sia, è solo presumere di sé. Ma poi che ne sappiamo noi? Nemmeno il passato basta a nessuno. E il futuro, chissà. Perché tutti cerchiamo la stessa cosa, che lo sappiamo o no, che ci riusciamo o no, che siamo consapevoli di quello che abbiamo, piuttosto che no. Che ci manchi tutto od il più. Che sia possibile o meno. Essere felici.

Marco Celati

Georges Brassens "Les Passantes" | Archive INA
Le passanti - Fabrizio De André

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