Avere o Essere?
di Adolfo Santoro - sabato 21 maggio 2022 ore 08:10
Quando ancora l’”imaging cerebrale” non esisteva, né si parlava sui rotocalchi di cervello destro e di cervello sinistro Erich Fromm discriminava, nel suo “Avere o Essere”, quello che possiamo chiamare il “fare” e il “non fare”, rispettivamente dell’emisfero cerebrale sinistro e dell’emisfero cerebrale destro. La persona che utilizza prevalentemente la modalità esistenziale dell’Avere cerca sicurezza e identità in ciò che ha, desidera possedere sempre di più, tratta le persone come fossero cose e desidera il potere, il successo e l’apparenza del ruolo, della maschera. La persona che utilizza prevalentemente la modalità esistenziale dell’Essere presuppone la libertà, l’indipendenza e la presenza della ragione critica, è interiormente attiva e vitale, usa creativamente le potenzialità dell’uomo, sa amare e condividere, è non manifesta.
Per esemplificare la differenza tra la modalità dell’Avere e la modalità dell’Essere, Fromm cita due modalità poetiche rispetto allo stesso evento naturale: il rapporto con un fiore.
Alfred Tennyson, figlio del pragmatismo americano, si esprime così:
Fiore in un muro screpolato,
ti strappo dalle fessure,
ti tengo qui, radici e tutto, nella mano,
piccolo fiore - ma se potessi capire
che cosa sei, radici e tutto, e tutto in tutto,
saprei che cosa è Dio e cosa è l'uomo.
Basho, un poeta giapponese del 1600, scrive il suo haiku:
Se guardo attentamente
vedo il nazuna che fiorisce
accanto alla siepe!
Tennyson deve strappare il fiore alla vita ed, eventualmente, esaminarlo al microscopio per “capire” che cos’è Dio e che cos’è l’uomo, che per Tennyson è il solo essere degno di attenzione, ossessionato com’è dal suo rapporto con Dio; aggiungo che il capire, cioè il toccare con mano, l’afferrare il concetto, è una prerogativa dell’emisfero sinistro e della sua evoluzione dalla destrezza della mano all’abilità di usare un linguaggio. Basho è invece un puro testimone, che dirige la sua attenzione focalizzata all’interno dell’attenzione globale, come puro testimone, che non fa nulla, espressione del “wu-wei”, del “non fare” della tradizione taoista.
A queste due poesie Fromm ne aggiunge poi una terza sempre sullo stesso argomento. Il poeta è, questa volta, Johann Wolfgang von Goethe, l’anticipatore del romanticismo tedesco che visse tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800. Goethe non uccide il fiore, ma ha bisogno di trapiantarlo in un contesto innaturale, quello del suo giardino. È la via dell’”ecologia superficiale”, che però è qualcosa di meno rispetto all’”ecologia profonda”, rispettosa della “selvaticità”, di Basho:
TROVATO.
Per conto mio nel bosco
da solo me ne andavo,
e di trovar qualcosa
certo non m'aspettavo.
Ho scorto una corolla:
nell'ombra il fiore stava,
luceva come una stella,
come un occhio attirava.
Per coglierlo son stato,
ma allora mi ha ammonito:
Quando mi avrai strappato
vuoi vedermi avvizzito?
Con tutte lo cavai,
radici e radicina.
Nel giardin lo portai
accanto alla casina.
E poi l'ho trasferito
in una quieta zolla;
ed ora è rifiorito.
Foglie nuove rampolla.
Adolfo Santoro