Silvia
di Libero Venturi - domenica 17 maggio 2020 ore 07:30
Silvia Romano, la giovane cooperante italiana, rapita in un orfanotrofio in Kenya nel 2018 dai terroristi somali di al-Shabaab, un gruppo fondamentalista islamico legato ad al-Qaeda, dopo 18 mesi di prigionia è stata liberata. Evviva! Questo dobbiamo gridare, magari sommessamente in cuor nostro. E forse il Governo italiano che ha operato per la sua liberazione, insieme ai servizi segreti di altri paesi -che ci piacciono ancora meno di quelli del nostro- sarebbe stato meglio se non l’avesse messa tanto in mostra, facendo a gara per guadagnare consensi, esponendola così al tiro incrociato dei seminatori di odio seriali che imperversano in rete, in politica e sulla stampa, nel nostro beneamato paese. Facendo oltretutto acquistare più risonanza alle parole degli infami jihādisti, i quali col riscatto pagato hanno dichiarato che compreranno altre armi per continuare a combattere un’assurda e violenta crociata nel loro medioevo presente. E comunque Silvia è salva. E questo è ciò che conta.
I terroristi mi fanno schifo e spesso penso: se almeno le armi e l’uso della forza fossero un deterrente contro il terrore e lo cancellassero dalla faccia della Terra! “Costringessero” il mondo alla pace. Perché non sono un gandhiano, un teorico della non violenza, come il mio amico Pietro che da questo punto di vista è una specie di santo. Magari avrà altre colpe come tutti noi, per esempio è un po’ lungo nell’esporre i concetti, ma non si macchia del peccato di giustificare la violenza. Io invece c’è l’ho, eccome, la colpa di non essere un pacifista integrale. E se almeno la ricchezza dei paesi ricchi e potenti servisse a riequilibrare le ingiustizie del mondo... Ecco io commetto deliberatamente anche il peccato di credere a questo. Ma lasciamo stare.
Era per dire, senza essere frainteso, che sono stato del “partito della fermezza”, accidenti a me. Magari si fosse salvato, trattando con i criminali che lo rapirono, l’onorevole Moro. Forse l’avrebbero fatto davvero il “compromesso storico”, lui e Berlinguer. Forse il terrorismo lo avremmo sconfitto ugualmente e ci saremmo risparmiati Craxi, per cui sul piano umano va comunque recuperato rispetto, Berlusconi e il centrodestra. Ma dire semplicemente centrodestra è sbagliato, diciamo meglio: avremmo evitato lo sdoganamento degli ex fascisti in funzione governativa operato dalle destre. E non avremmo neanche portato il paese sotto il tallone dei comunisti dell’Est, da cui avevamo preso le distanze. Ma forse proprio per tutto ciò Aldo Moro doveva morire. Non sarebbe stato possibile salvarlo dalla congiura congiunta delle Brigate Rosse, dei servizi deviati di ovest ed est, della criminalità nazionale e internazionale. E comunque accidenti a me, accidenti a noi. Una vita è una vita. E vale più della politica, dei soldi, di tutto.
Silvia ha preso il nome di Aisha, la terza moglie di Maometto, che in arabo significa “viva”, c’è anche una canzone dell’algerino Khaled: ascoltatela, musica e parole. Si è convertita all’Islam. Ha fatto bene, se l’ha fatto per fede. Se Dio esiste sarà senz’altro unico, lo dice anche Papa Francesco apostolo della cristianità. In effetti quanti ce ne deve essere di Padreterni? Ma se anche si fosse convertita per paura di morire o per essere certa di avere salva la vita, fra quei pazzi fanatici, avrebbe fatto bene comunque. Qualsiasi costrizione abbia subito, l’infamia ricade sui suoi rapitori e sequestratori. Qualsiasi sia stata la sua libera scelta, chi siamo noi per giudicare dalla comodità delle nostre poltrone? E non è giusto richiamare i martiri di qualsiasi credo, religioso o laico, sempre dalla comodità delle nostre poltrone. Speriamo piuttosto, come sosteneva Brecht, di non averne più bisogno, di eroi. E magari nel mondo non ci fossero più martiri!
Occorre che Stato e Governo regolino gli interventi di cooperazione internazionale perché non siano esposti al rischio, perché non compromettano le relazioni internazionali del paese, come sostiene un bravo sacerdote e ribadisce un bravo compagno di viaggio? Può darsi. Sì. Non lo so. Chissà se questo è possibile per una materia così delicata. Si tratta non a caso di Organizzazioni non governative, di Onlus non lucrative. Una grande suora, da anni presente e attiva in Africa, me ne parlava male. Lei faceva da sé e ha fatto tante cose, come un’altra sorella che ho conosciuto e rimpiango perché in Centro Africa ha perso la sua giovane vita. Noi comunque in Comune ne utilizzammo una di Ong, per un intervento di solidarietà internazionale in Senegal e ci fu di notevole aiuto. Erano italiani. Tutto il mondo è paese, nel bene e nel male. E noi di quel paese, di questo mondo, siamo cittadini.
Come spiegare tanti sacerdoti e suore in terre di missione, non sempre sicure? Come giustificare tanti ricercatori, tanti giornalisti su fronti instabili o di guerra? Tanti cooperatori e medici? Come regolamentare Emergency? Noi combattevamo e loro salvavano vite. Come fermare la capitana di vascello, tedesca e di buona famiglia, la quale ha salvato centinaia di profughi in mare, forzando i porti e le misure dei governi, ultimo quello di Salvini-Di Maio che -dispiace dirlo- era anche di Conte? Oh capitana, mia capitana!
Si può stabilire una distinzione tra le azioni di cooperazione internazionale, strutturali, che si possono fare col nostro intervento e quelle, sovrastrutturali, in campo educativo, che è bene lasciare all’auto-organizzazione dei popoli e alla loro emancipazione? Può darsi. Ma mi pare difficile, se non impossibile, operare simili distinzioni. L’esperienza sul campo di chi sostiene questo, va rispettata, bisogna farne tesoro, ma a volte essere troppo prodighi di consigli rompe un po’ i coglioni. Diciamo la verità. Nel caso di Silvia insospettisce pure. Chiedo scusa, ma lo dovevo dire.
In Senegal, un po’ di tempo fa, mandammo risorse per scavare un pozzo, in una discarica bonificata: su quel suolo desertico doveva nascere una fattoria agricola. Fecero da sé, con il nostro aiuto. Però, prima che il pozzo fosse completato ci chiamarono e andammo. E ci abbracciammo e piangemmo come bambini per il miracolo dell’acqua che sgorgava e zampillava alta, sopra quel deserto. Perché al di sopra di ogni regola e stato e governo, c’è qualcosa che muove gli uomini a incontrarsi tra loro. Per il bene e la pace, come per il male e la guerra. Qualcosa che parla al nostro cuore e alla nostra mente. Poi molte buone azioni finiscono in malora: e questa è la principale colpa degli uomini.
Silvia, Aisha, una giovane donna ventiquattrenne, è di nuovo fra noi, il nostro paese avrebbe bisogno di persone generose. Ma se vorrà tornare in Africa, lo farà. Farà della sua vita ciò che vuole o che può. Se Dio vuole. Insh’allah. E perfino se Dio non esistesse. Ma buon per lei che ci crede. Buona domenica e buona fortuna.
Pontedera, 17 Maggio 2020
“Aicha”, Khaled - traduzione italiana
Libero Venturi
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