Congiunti
di Libero Venturi - domenica 10 maggio 2020 ore 07:30
Coronavirus: è iniziata la fase 2. Il Paese prova a ripartire. Adelante con juicio. Riacquistiamo un po’ di libertà di movimento e di relazioni affettive. Si possono visitare i “congiunti”. Congiunto come sostantivo significherebbe, secondo il vocabolario Treccani, «chi è legato ad altri da un vincolo di parentela, affine, consanguineo, familiare, parente», insomma, in estensione, chi è unito a noi da qualche legame o relazione. Il termine, però, è alquanto desueto e tradisce un imbarazzo un po’ moralista. O comunque un’incertezza. A volte, quando invio o contraccambio gli auguri, anch’io scrivo “a te e ai tuoi cari”, se non sono certo della famiglia. Che, è vero, resta o resterebbe al primo posto quanto alla congiunzione degli affetti, quantunque in Italia abbiamo qualche problema con i “congiuntivi” e molte unioni codificate siano affette da “congiuntivite”. Ma insomma, al di là dell’immenso piacere di riabbracciare i propri familiari, chi sono i congiunti? Qual è l’anello di congiunzione che unisce un esemplare della razza umana ad un suo affine?
Con una circolare indirizzata ai Prefetti, il Viminale ha provato a chiarire il mistero attingendo a una sentenza della IV sezione della Cassazione. Il 10 novembre 2014 la suprema corte aveva riconosciuto il diritto al risarcimento alla compagna di un pedone investito e ucciso, sulla base dell’esistenza di una «solida relazione affettiva». La citazione è servita al Ministero dell’Interno per chiarire gli spostamenti giustificati: «I coniugi, i rapporti di parentela e affinità e di unione civile, nonché le relazioni connotate da più duratura e significativa comunanza di vita e affetto». In estrema sintesi: amici no. “Amici mai”, c’è anche una canzone. E fa piacere a noialtri congiunti, essere definiti in base a una disgrazia e relativa sentenza. Viene da toccarsi, e non solo per affetto.
D’altra parte siamo stati e siamo ancora in guerra, costretti dalla pandemia, questa è la metafora ormai entrata nell’uso comune. E molto, se non tutto, si giustifica. Ecco a me questo paragone continua a non piacere. Lo dico senza mancare di rispetto alle disposizioni o contravvenire alle precauzioni necessarie, però nemmeno solo per puro intento dialogico. Una guerra è una guerra: la fanno gli uomini, le nazioni che se la dichiarano, accidenti a loro! Un virus è compreso nella natura. Il nostro stesso DNA è sovrabbondante e in buona parte deriva da virus. Perché nel corso del tempo siamo sopravvissuti a molte infezioni e la perfezione della natura umana si è evoluta dalle sue imperfezioni. Darwin diceva di osservare le nature imperfette, effetto di compromessi e cambiamenti. Quando avremo trovato una cura definitiva o più cure e vaccini per questo virus, lui si selezionerà in un virus resistente e cercherà di sopravvivere mutando, come noi. Come fanno le zanzare con gli insetticidi. E non è propriamente una guerra, ma il corso della natura. Quando l’Era esonda e ci allaga, non è in guerra con noi. Segue il suo corso. Semmai si potrebbe dire piuttosto il contrario. Il fiume si riprende le sue golene cementificate, scorre più veloce e impetuoso per le cave e i drenaggi realizzati sul suo letto, per la mancanza del reticolo minore dei fossi che nessuno più ricava, si intasa per ponti troppo bassi o per le sue sponde non curate. Insomma fa il suo. E non è una guerra. Perché la guerra fa venire troppo spesso e volentieri a mente l’ineguagliabile Churchill -l’ora più buia- reclama il sacrificio di eroi e coprifuochi. Abbiamo già dato. E quindi è anche giusto usare la nuova libertà con attenzione e giudizio. In una pandemia del secolo scorso, la Spagnola, la seconda ondata è stata peggiore delle prime fasi del contagio, tuttavia dobbiamo imparare a resistere, superare questo virus, convivendo con le manifestazioni della natura. E piuttosto vigilare perché mai più le Residenze Sanitarie Assistite si trasformino in luoghi di morte per i nostri anziani.
Tornando ai congiunti -ora che si può, sia pur con l’autocertificazione- questi, si è visto, si definiscono come relazioni connotate da più duratura e significativa comunanza di vita e affetto. In tal guisa andrebbero autocertificati. Esistono in rete dei finti moduli divertentissimi: richiesta fatta in piedi, in ginocchio, mandato a cacare, già scopato, eccetera. E, in effetti, dopo il “tesserino del pendolare” esibito per il doveroso “faticare”, non sarebbe male un “passaporto degli innamorati” che consenta anche agli amanti la loro piacevole “fatica”. E va bene. Ma relazione significativa -è stato anche detto “stabile”- e duratura, quanto? E come? Bisogna necessariamente convivere? No, se così fosse non ci sarebbe bisogno di ricongiungersi, stando già sotto lo stesso tetto. E chi litiga spesso e si ritrova sempre insieme, sarà duratura e significativa la loro unione? E i cosiddetti “compagni” e “compagne” -e non per forza di partito- che abitano ognuno a casa sua? Siamo solo congiunti carnali e clandestini, senza permesso di soggiorno? E -a parte i “trombamici”, categoria non ben inquadrabile e parola che comunque il correttore automatico non segnala come errore- cosa c’è di più stabile, duraturo e significativo di un’amicizia, non necessariamente dettata da ragioni di sesso?
Tra l’altro stabilità e durata non sono sempre garantite dai legami sponsali e familiari, purtroppo. E forzata può essere l’unione, come la separazione. Con questo non voglio sminuire il ruolo della famiglia, mi limito solo a dire, non senza dispiacere, che separarsi è successo alle migliori famiglie. Perché l’amore a volte è un bene e il suo contrario, un male e il suo rimedio. Somiglia a un virus, ma ce ne fosse. Chissà quanti asintomatici sentimentali, quante acque chete, ma in questo caso, non bisogna vaccinarsi, né rendersi autoimmuni o raggiungere l’immunità di gregge. Tanto vince sempre lui. Narra Apuleio che il dio Amore, quel mascalzone di un Cupido, figlio di Venere, s’invaghì -ricambiato- della bella Psiche. I due si amarono senza che Amore rivelasse il suo sembiante. La fanciulla, però, sobillata dalle perfide sorelle e tradita dalla curiosità, ferì il suo amato congiunto e s’inguaiò. Dovette superare le terribili prove imposte dalla invidiosa Venere e resistere alle di lei servitrici: Consuetudine, Sollecitudine e Tristezza. Alla fine Amore e Psiche convolarono a liete nozze e dalla loro unione nacque una figlia chiamata Voluttà. E questo vorrà dire qualcosa. Che l’amore trionfa su tutto. Omnia vincit amor. È una legge di natura, non occorre nemmeno il DPCM delle 20,30. E meno male! Buona domenica e buona fortuna.
Pontedera, 10 maggio 2020
Libero Venturi