DIZIONARIO MINIMO: 2018
di Libero Venturi - domenica 07 gennaio 2018 ore 08:00
Siamo entrati nel nuovo anno. Il nuovo secolo è diventato maggiorenne. Duemiladiciotto, chi l’avrebbe mai detto? Già il duemila ci sembrava, da ragazzi, una meta lontana, fumo vano e trasparente, scrissi in una poesia adolescenziale, triste e brutta come tutte le poesie adolescenziali. Quelle in età adulta anche peggio. Ma, insomma, eccoci qua. Fra le tante cose che ci diranno le immancabili astrologie annuali o le previsioni nelle trasmissioni televisive o negli almanacchi leopardiani, una triade abbastanza gettonata da evocare sarà 1848, 1968, 2018. La “regola” dell’otto finale. L’ha già fatto Eugenio Scalfari su Repubblica qualche domenica fa. Si vede che anche a lui la domenica vengono i pensieri e, sicuramente, a lui non solo il giorno di festa e, altrettanto sicuramente, migliori dei miei. Ma tant’è.
Il 1848 fu un anno di moti popolari e sommovimenti rivoluzionari. Ancora oggi si dice: succede un quarantotto e, come la parola sinistra evoca sinistri, l’espressione “fare un quarantotto” significa creare confusione, scompiglio, disordine. La sua origine è legata agli eventi della “Primavera dei popoli”. L’Europa bruciava centosettanta anni fa. Era l’epilogo della politica di Restaurazione stabilita al Congresso di Vienna dai conservatori che avevano sconfitto Napoleone Buonaparte. Ovunque si invocavano riforme sociali e carte costituzionali. La scintilla partì da Parigi, il popolo insorse contro scandali, corruzione e malgoverno e ripristinò la Repubblica. In Italia a Palermo la rivolta cacciò i borbonici. Nel Lombardo-Veneto dopo le Cinque Giornate di Milano si insediò un governo provvisorio con alla testa il federalista Carlo Cattaneo. A Venezia il governo rivoluzionario di Daniele Manin e Niccolò Tommaseo proclamò la Repubblica di San Marco. Successivamente nello stato pontificio il triumvirato di Mazzini, Armellini e Saffi promulgò la Repubblica, difesa in armi da Garibaldi.
Nel Regno delle due Sicilie il re fu obbligato ad accordare una Costituzione, come Leopoldo II nel Granducato di Toscana e Carlo Alberto di Savoia concesse, nel 1848, lo Statuto che diverrà la Costituzione del Regno d’Italia. Il “re tentenna” finalmente smise di tentennare e dette avvio alla Prima Guerra d’Indipendenza per l’Unità d’Italia. Siamo al Risorgimento. Dopo eroiche vittorie, alla fine le truppe sabaude del Re di Sardegna, nonché Principe di Piemonte, furono sconfitte a Novara dall’esercito austriaco del generale Josef Radetzky, quello della marcia di Strauss che il maestro Muti ha diretto trionfalmente il primo dell’anno a Vienna con il tradizionale battimano del pubblico. In seguito alla sconfitta Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II e si esiliò ad Oporto, in Portogallo, davanti all’Oceano, dove malinconicamente morì. Le monarchie conservatrici e il papato ripresero il sopravvento, ma la scintilla del ‘48 era scoccata.
C’erano anche negozi che si chiamavano “48”, a Firenze, poi a Viareggio e Montecatini. Anche sul Corso a Pontedera ce n’era uno: vendevano giocattoli, chissà se c’entrava qualcosa con quella catena. Per molto tempo ho creduto che il nome si riferisse alla data. Invece non c’era alcun rapporto, era tutta un’altra storia: quei negozi vennero nel novecento e il nome derivava dallo slogan “tutto a 48 centesimi”. L'ideatore della struttura commerciale e della formula era stato Giuseppe Siebzehner, commerciante ebreo di una ricca famiglia polacca, nato a Vienna nel 1863 e morto nel 1944 sul treno partito da Milano, diretto ad Auschwitz. Anche sua moglie era sul treno, lei ci arrivò nel campo di concentramento e là trovò la morte. Siebzehner aveva rilevato il "Grande Emporio Duilio" di Firenze e l’aveva chiamato “Magazzini Duilio 48”. A cavallo tra le due guerre, aveva dato vita al primo “catalogo prodotti con vendita per corrispondenza”, precursore del “Postal Market” e oggi di Amazon.
Ma torniamo al tema. Oltre al 1848 si ricorderà un altro periodo rivoluzionario, o presunto tale, quello del 1968. Cinquant’anni fa. Dalle manifestazioni nei campus universitari degli Stati Uniti e dalle contestazioni degli studenti del Maggio Francese si generò un movimento giovanile, studentesco, ma anche operaio, che ebbe diffusione in gran parte del mondo. Ovunque ci furono cortei e scontri con la polizia. In Italia, dopo la battaglia di Valle Giulia a Roma, Pasolini si schierò a favore dei poliziotti, figli di proletari, poveri, e contro gli studenti, figli di papà, piccolo borghesi, ricchi: ragazzi sfortunati che avevano visto a portata di mano una meravigliosa vittoria, una rivoluzione che non esisteva.E, forse, avrà avuto anche ragione, ma quel movimento fu un soffio di libertà che cambiò la scuola, la società e il costume bacchettone, conformista e conservatore del tempo. Il ‘68 incontrò i diritti civili dei neri d’America, il movimento femminista, il pacifismo delle marce contro la guerra del Vietnam, le aspirazioni di libertà e democrazia dei paesi socialisti europei, la Primavera Praghese schiacciata dai carri armati sovietici. E incrociò, nelle fabbriche, l’autunno caldo del movimento operaio.
Intanto in Cina agitavano il libretto di Mao Tse-tung e mettevano in atto la grande rivoluzione culturale comunista. E la rivoluzione, si sa, non è un pranzo di gala. Circolava fra noi una massima che passava per maoista, un’illuminazione nella lunga marcia: “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”. Che forse non era di Mao Tse, fondatore del maoismo, ma di Lao Tse, fondatore del taoismo. E non è la stessa cosa. Anche il mi’ nonno, nel suo più modesto pragmatismo toscano, dettava a suo modo una prospettiva e un monito quando mi diceva: “te vai e povero e coglione ‘un ti mette’ mai”. Non so cosa c’entra, né perché mi viene in mente. Più del libretto rosso noi leggemmo “Porci con le ali”. Almeno io. Molto istruttivo. Enrico Berlinguer ipotizzava una terza via tra capitalismo e comunismo o socialismo. I cinesi hanno semplificato il tutto, sovrapponendo economia di mercato e comunismo, se così si può dire, in difetto di democrazia.
Nel ‘68 la politica comunque veniva sempre al primo posto. Poi arrivarono i grandi concerti per chi c’andava, la chitarra per chi la suonava, la musica beat e rock, i cantautori, la pop art, i capelloni, gli hippies, i figli dei fiori e anche un po’ di puttana, l’amore libero per chi lo faceva, la minigonna per chi la portava, ma anche le donne con i pantaloni e i pantaloni a campana o a zampa di elefante. E la moda ridicola, scanzonata e colorata con cui vestivamo, probabilmente attratti dal nuovo conformismo anticonformista del mercato.
Le Brigate Rosse, il terrorismo rosso e nero e poi la droga pesante furono derive terribili per diversi di quella generazione che si persero. Scelsero la via della violenza e del sangue oppure si lasciarono attrarre dai paradisi artificiali. Il riflusso che ne seguì fece il resto.
Ma i più fummo di sinistra, democratici riformatori. Volevamo una scuola non classista, non autoritaria e diritti per gli studenti, migliori condizioni per i lavoratori, spostare gli equilibri di potere della società e una società più giusta e a misura d’uomo, anche se non sapevamo bene a chi prendere le misure. Volevamo cambiare il mondo, ma anche il mondo ha cambiato noi. Oggi chi è stato sessantottino è sessantottenne e, anche se non gliene frega più niente a nessuno, a volte penso rimanga come un marchio di fabbrica, una speranza e un’illusione che ha segnato per sempre le nostre vite. Fra due mesi si vota, tra le tante promesse elettorali in extremis perché non pensare ad un mezzo punto in più per la pensione ai reduci del ‘68?
Ed eccoci al 2018. I mentecatti astrologi che, fingendosi scienziati e divinatori del cosmo, scrutano e “studiano” le stelle per tranne oroscopi ed auspici, hanno sentenziato che sarà un anno positivo. Finalmente una buona notizia! E da cosa traggono questa convinzione? Mi pare d’aver capito, in gran parte dal fatto che non abbiamo più Saturno contro, c’era anche un bel film di quel regista dal cognome impronunciabile. Perché Saturno è una merda e se ce l’hai contro, in opposizione, è un casino! Con tutti quegli anelli e satelliti, un gigante gassoso, sferzato da venti terribili, il cui simbolo astronomico stilizzato è rappresentato dalla falce del dio dell’agricoltura e dello scorrere del tempo, Crono, che i latini identificavano con Saturno. E, a parte l’agricoltura, che non si sa cosa c’entri con la miscela di idrogeno ed elio da cui è composto, quella falce e lo scorrimento del tempo non ispirano certo fiducia né promettono niente di buono. La sonda Cassini, dopo averci mandato bellissime immagini, ha portato a termine nel 2017 il suo decennale viaggio, disintegrandosi nell’atmosfera del pianeta, secondo un gran finale programmato. Tra tutti i corpi celesti, Saturno è quello più spesso raffigurato come un punitore, un portatore di disagi. Questa non buona reputazione probabilmente è dovuta al mito che descrive Saturno-Crono come quel figlio che, dopo aver evirato il tirannico padre Urano, ne prese il trono. D’altra parte l’amorevole genitore, forse per un problema di successione d’impresa, aveva il brutto vizio di gettare i suoi figli nelle viscere della Terra. Uccidere il padre è sempre stato un problema serio, metaforicamente parlando, Saturno-Crono ci dette un taglio netto. In fondo solo a questo si limitò.
Chissà se il 2018 sarà un anno benefico, portatore di novità o rivoluzionario come gli altri due che terminavano per otto. Chi può dirlo. Otto è il simbolo dell’infinito messo in verticale e l’infinito è troppo per noi. Porterà bene, portera male? Capace che, al netto delle stelle, del fato e del destino, dipenda in qualche misura anche da noi. Comunque chi vivrà vedrà. La Befana è stata ieri e befana è una storpiatura di epiphàneia, dal greco, apparizione, manifestazione dall’alto della divinità e, in senso laico e diffuso, rivelazione, dono. Non resta allora che augurarci per il 2018 una buona epifania.
Pontedera, 7 Gennaio 2018
Libero Venturi