Quando le parole uccidono
di Federica Giusti - venerdì 28 marzo 2025 ore 08:00

Siamo convinti spesso che le parole volino via nell’aria, come se niente fosse. Ed invece non è così. Spesse volte si attaccano a noi, alla nostra anima e non la mollano, la feriscono così dolorosamente e profondamente da poter arrivare ad uccidere.
Ed è quello che accade se ci soffermiamo sui fatti di cronaca che rimandano a gesti suicidari, soprattutto nei giovani e nei giovanissimi.
Frasi del tipo: “Fai schifo!”, “Sei inutile”, “Sei uno scarto dell’umanità” non hanno solo un potere emotivo, ma fisiologico.
Molti studi di neuropsicologia dimostrano che le aree del cervello interessate dagli insulti ripetuti e costanti, sono le stesse che si attivano quando il dolore è di tipo fisico e cronico, arrivando a danneggiare sia la mente che il corpo.
Si attiva una sorta di ipersensibilità nel soggetto vittima di questo comportamento che lo iperattiva nei confronti di ogni situazione percepita come minacciosa, anche quando non lo è. Un po' come se il nostro sistema immunitario reagisse ad una fatica o uno sforzo fisico, anche di breve entità, sviluppando uno stato febbrile acuto.
L’autostima, ovviamente, ne risente in maniera peggiorativa proprio perché si modifica, spesso in maniera profonda, la percezione che uno ha di sé, come se la visione si facesse offuscata e distorta. Si può iniziare a credere che ciò che ci viene rimandato dall’esterno corrisponda alla realtà e che non ci sia apparente rimedio, pensando: “Ormai è così e basta”.
L’amigdala è impegnata nella gestione delle emozioni, nella regolazione sociale, nella memoria emotiva e nella gestione dello stress e dell’ansia. Aggressioni verbali costanti portano ad un’attivazione eccessiva e smodata dell’amigdala, portando la persona ad essere più vulnerabile e predisposta a difficoltà e disturbi emotivi che riguardano l’ansia, la depressione e la fobia sociale.
Questo tipo di condizione, se ripetuta in maniera da creare una routine, fa sì che diventi sempre più faticoso per chi la esperisce trovare e vedere una via di fuga. Soprattutto se questa persona è un adolescente o, comunque, un soggetto in crescita, con minori risorse emotive e una “fisiologica” predisposizione all’insicurezza.
Ecco che “semplici parole” possono arrivare a ferire a tal punto che l’unica via di fuga è quella di farla finita.
Le parole non sono petali al vento, ma possono essere potenti e pericolosi proiettili in grado di uccidere.
È fondamentale imparare ad usarle con tatto e rispetto, e solo il nostro utilizzo può essere da stimolo e da esempio per tutti quei ragazzi che da noi apprendono.
Facciamoci caso.
Potremmo salvare vite.
Federica Giusti