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venerdì 31 ottobre 2025

PSICO-COSE — il Blog di Federica Giusti

Federica Giusti

Laureata in Psicologia nel 2009, si specializza in Psicoterapia Sistemico-Relazionale nel 2016 presso il CSAPR di Prato e dal 2011 lavora come libera professionista. Curiosa e interessata a ciò che le accade intorno, ha da sempre la passione della narrazione da una parte, e della lettura dall’altra. Si definisce amante del mare, delle passeggiate, degli animali… e, ovviamente, della psicologia!

​Condividere tutto sui social: connessione o disagio?

di Federica Giusti - venerdì 31 ottobre 2025 ore 08:00

Ogni giorno apriamo i social, condividiamo contenuti e guardiamo i contenuti condivisi dai nostri amici o followers che dir si voglia. È davvero un gesto quotidiano, segno del nostro tempo. Oggi è così che si comunica, o meglio è anche così che si comunica, con una foto del piatto stellare che stiamo mangiando, una storia di ciò che stiamo facendo oppure un post più intimo che racconta qualcosa di noi e di come ci sentiamo.

Dal punto di vista psicologico, questa routine è talmente così insita in noi da essere considerata “normale”. La comunicazione di questo millennio passa da lì, e passa quasi tutta da lì.

Ma non tutti utilizziamo i social alla stessa maniera. Non è solo una questione di quanto ma sopratutto di come. In alcune situazioni diventa un vero e proprio bisogno da assecondare, quasi fosse una compulsione, ed è lì che potrebbero nascondersi insidie pericolose relative al benessere psico fisico.

Talvolta dietro una storia, una foto, un post, non c’è solo l’intenzione di comunicare ma il bisogno di essere visti ed accettati. Un like, un cuoricino, diventa un apprezzamento del quale abbiamo spasmodicamente bisogno proprio perché diventano una gratificazione importante, anche se momentanea. L’apprezzamento esterno può, quindi, diventare la base sulla quale si poggia la stima di sé, in un gioco falsato che può suonare così: “se gli altri mi apprezzano allora valgo!”.

Il problema nasce quando il valore personale dipende quasi esclusivamente da questa approvazione: ciò può minare l’autostima e rendere difficile costruire un senso di sé stabile e autentico.

In alcuni casi i social azzerano la distanza tra noi e gli altri, togliendo ogni centimetro di “sana intimità”. Ed ecco che arrivano post di ospedali, piuttosto che proposte di matrimonio registrate e condivise, o ancora test di gravidanza mostrati in rete prima ancora di sapere come andrà. Il bisogno di urlare là fuori ogni cosa sentiamo qua dentro prende il sopravvento. Quasi come se non postare equivalesse a non esistere.

E non è una questione generazionale come si potrebbe credere, questo riguarda tutti noi. E il problema non sono i social, che sono un mezzo, ma il modo in cui noi ci approcciamo al social stessi.

Una bella notizia, alla stregua di una brutta notizia, attivano in noi una serie di vissuti emotivi particolari e molto dirompenti. E questo accade a tutti. Decidere però di condividere con dei quasi sconosciuti tutto questo, dipende dal bisogno che ognuno di noi ha di ricevere apprezzamenti dall’esterno. Chi ne ha più bisogno, chi ne è più dipendente (ricordiamo che si attiva il circuito della dopamina), ha più necessità di mettere sulla pubblica virtuale piazza la propria vita.

Credo che sarebbe utile ritrovare un sano valore della propria privacy come vero e proprio atto di cura verso noi stessi, perché lasciare che alcune esperienze rimangano private, intime, le valorizza, fa loro acquisire più valore.

Imparare a riconoscere cosa ci spinge a condividere può diventare un’occasione per conoscere meglio noi stessi.

La chiave credo che stia nell’equilibrio tra connessione e autenticità, permettendoci di usare i social per comunicare, non per cercare di colmare un vuoto.

Federica Giusti

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